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sui manoscritti d'arborea | 149 |
con grande franchezza asserisce, non ne prova alcuna, e perciò non occorre ribattere le sue asserzioni. Dice, per esempio, che fra i volgari italici il fiorentino è più italiano perchè più si arrosta al latino (pag. 11); proposizione, che non so chi gli vorrà passare per buona: certo non Dante, il quale rigetta il volgare Sardo appunto a motivo della grande sua somiglianza col latino. «Sardos etiam, qui non Latini sunt, sed Latinis adsociandi videntur, ejiciamus, quoniam soli sine proprio vulgari esse videntur, gramaticam, tamquam simiae homines, imitantes; nam domus mea et dominus meus loquuntur». E Bruno de Thoro nella sua canzone ad Aldobrando chiama il linguaggio sardo
Dilettoso sermon, quasi latino.
13. Per simile modo il Liverani dà il nome di massiccio errore al mio «giudicare fiorentino il superlativo tragrande, traricco, ec. quand’egli è anzi provenzale e francese; col grandissimo, ricchissimo, ec. ereditati dal latino illustre (ter-dives-ditissimus)» (pag. 12). Per me sta la testimonianza del Salviati, autorità competentissima in tale materia, che quei dell’età del Boccaccio usavano il tra; il che non potendosi intendere degli scrittori, presso i quali il tra già era caduto in disuso, deve necessariamente intendersi del volgar fiorentino: per me sta l’uso odierno di quel popolo, che tuttora usa piuttosto una formola di superlativo simile a quella di cui parliamo, che non quella che gli scrittori introdussero togliendola dal latino; per me sta l’autorità di parecchi dotti Fiorentini, che giudicarono o vera o assai probabile la mia congettura; per me sta l’analoga forma sorgrande, sorbello, ec., similmente usata dagli antichi; per me finalmente il trovarsi più d’un esempio della forma non tronca dalla quale deriva il tra; per esempio nel Cento Novelle Antiche: di gran bontade e oltramaravigliosa prodezza. Anzi anche nel francese teniamo per fermo, che questa forma di superlativo non deriva da ter.
14. Non so trattenermi dal notare ancora un’altra contradizione del Liverani, dove dice (pag. 12), che «giudiziosissima sarebbe la comparazione fatta dal Vesme tra Aldobrando e fra Guittone, se il primo non fosse uno spettro, o qualche cosa di peggio». La proposizione del Liverani pecca dapprima in quanto si serve come di prova di ciò, che forma appunto l’oggetto della controversia, ossia la negata sincerità di queste Carte e dei loro autori. Ma inoltre, se la comparazione da me fatta è giudiziosissima, ossia se ho dimostrato all’evidenza, che Guittone imitò Aldobrando, e non all’incontro l’autore della canzone controversa imitò Guittone: viene