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Qual meraviglia, se copiando le formole delle manipolazioni dei greci, e voltandole in latino, si ritenevano qua e colà parole usate da coloro? A’ nostri giorni in che godono del primo onore i cuochi di Francia, gl’Italiani si vergognerebbono di non usare nelle cucine le parole di quella nazione. Ciò basta, crediamo, perchè dalla mescolanza del greco col latino, non si possa determinare che il compilatore fosse un forestiero, e la età della compilazione. Concludiamo dunque non potersi asserire col Lister che il libro non fosse bene conosciuto innanzi Valeriano, perchè mancano valevoli documenti a provarlo; che l’età delle formole non è una, ma molte; che dopo la prima compilazione altre formole debbono essersi aggiunte, e questo forse sino alla caduta dell’Impero d’Occidente; che in somma riuscire con onore in questa ricerca è, se non impossibile, almeno estremamente difficile, e che al postutto sarebbe anche inutile, come più sopra dicemmo che molti hanno pensato.

Tutto ciò in riguardo alla compilazione, cioè in riguardo alle parole. In quanta si spetta alle cose, aggiungiamo quello che segue. Sono accusati non senza buona ragione i Romani di sterminata ghiottornia, e Seneca, Petronio, Marziale, Giovenale hanno schizzato abbastanza di veleno contra i loro contemporanej. Nè il posteriore Macrobio gli ha risparmiati, accusando e l’oratore Ortensio ed il console Metello ed altri per troppa concessione alla gola. E noi non iscenderemo a difendere le somme cure di coloro per nutrire quadrupedi e pesci o io quel paese od in quella altro per averli squisiti, e le enormi spese per trarne da lontane regioni; ma soltanto diremo che fatta eccezione dagl’individui, la loro cucina in massima era meno lontana dalla nostra di quanto forse taluno si crede. In fatti, ciascuno può osservare nelle salse di Apicio, che tolte le troppe erbe aromatiche e sostituite le droghe di che usiamo presentemente, sono simili quasi che in tutto a quelle de’ nostri cuochi. Non si costumano più porcelli, lepri ed agnelli ripieni, ma quant’è che in Francia si costumavano ancora? I ghiri e le gru non sono più per noi cibo squisito, ma ai tempi del Boccaccio le gru comparivano pure in sulle mense dei doviziosi, e ne fa prova la novella di Chichibio. Ciascheduno ride degl’imbandimenti di lingue di pappagalli, ma pochi sanno che Agostino Chigi nel 1518 offerì a Leone decimo in un convito più che un piatto di quelle lingue. Le ortiche di mare si apprestavano eziandio ai giorni dell’Aldrovandi, cioè correndo il secolo XVI medesimo. Il libro del Platina de honesta voluptate mostra come con leggiere modificazioni le imbandigioni di Apicio si accomodavano ai tempi suoi, e ciascuno che voglia guardarvi vedrà, che con altre ugualmente leggiere sono le stesse de’ nostri giorni.