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42 | guerino. |
L’imperatore fece grandissimo onore ai signori Greci a lui venuti in soccorso e per il salvamento della patria. Essendo poi compita la tregua, egli li raunò tutti innanzi a lui, e disse loro come la battaglia era formata, e come erano assegnati cinquanta per parte da combattere. Poscia li pregò lagrimando per la difensione di tutta la Grecia, loro dicendo: «Se questa città è sottoposta ai Turchi, tutta la Grecia sarà sottoposta, e le nostre donne e figliuoli vituperosamente meneranno ne’ loro paesi. A Dio piaccia, che non sia! Per questa ragione si dovrebbe trovare ogni uomo per la difensione della sua patria e della sua religione». Per queste parole tutti i signori Greci si levarono in piedi, proferendosi ognuno a questa battaglia, pronti a sacrificare fortuna e vita per la cadente Grecia. Ricordarono allora la virtù de’ loro padri, e rossi in volto dalla vergogna di dover soggiacere al Barbaro, di dover prostituire libertà e patria alle oppressioni del Mussulmano, secretamente fremettero di rabbia, e giurarono in presenza dell’imperatore questo giuro tremendo: «Iddio ascolta le nostre parole: o morte a tutti noi, o sia salva la patria!»
Tutti furono scritti per la battaglia, fra’ quali fu principale Costantino. L’imperatore elesse a loro capitano e duca il Meschino, rammentando, presenti tutti, la valentigia per lui fatta alla morte dei due figliuoli di Astiladoro. Cavossi l’anello secreto, e al cospetto di ciascuno, diede a lui il sigillo1 e libertà di tutta la città, e di
- ↑ Dei sigilli dopo la declinazione del romano imperio, e de’ secoli barbarici trattò diffusamente Muratori nella Dissertazione 35 delle sue antichità italiane. Essi erano di cera, di piombo e d’oro. Di sigilli di cera quasi sempre si servirono
lacerata da quelle intestine discordie che generarono tra poco tempo la setta scellerata di Guelfi e Ghibellini? Sentite come il fioritissimo Dino Compagni esclamava nel bel principio della sua Storia ai cittadini di Firenze «Piangano i suoi cittadini sopra loro e sopra i loro figliuoli, i quali per loro superbia e per loro malizia e per gara d’ufficii hanno così nobile città disfatta, e vituperate le leggi, e barattati gli onori in picciol tempo, i quali i loro antichi con molta fatica e con lunghissimo tempo hanno acquistato; e aspettino la giustizia di Dio, la quale per molti segni promette loro male, siccome a colpevoli. Dopo molti antichi mali per le discordie de’ suoi cittadini ricevuti, una ne fu generata nella detta città (Firenze) la quale divise tutti i suoi cittadini», e qui accenna i Guelfi ed i Ghibellini onde tanti mali alla cara Firenze, che l’anima sdegnosa dell’Alighieri fu costretta a disfogarsi in questi versi:
«La gente nuova e i subiti guadagni
Orgoglio e dismisura han generata,
Firenze, in te, sì che tu già ten piagni!»