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168 | DE VULGARI ELOQUENTIA. |
eziandio Poema mediocre (Vulg. El., ii, 13), vien essa in acconcio a determinar preciso lo Stile mediocre o mezzano: Ep. Can., § 10. Laddove l’Elegia non potrebbe dirsi neppure cbe sia lo Stile de’ miseri, giacchè ciò non basta a qualificare una specie di Stile, nè quello Stile segnatamente, che dev’essere inteso sotto nome di Elegia. E sia pure che questa si voglia tenere, come fu dapprima, per una sorta di Poema intorno a sole disavventure, in effetto poi dovette allargarsi a descrivere anco i prosperevoli casi. Or essendo questo genere di poetica narrazione il più umile fra tutti, esige ancora per sè il Volgare più umile, e si presterà quindi all’uopo per significare lo Stile umile o inferiore. Il perchè sto fermo nel credere, che nel Testo addotto siasi non pur insinuato «miserorum» invece di «mediocrem,» ma che «inferiorem» e «mediocrem» abbiano usurpato il luogo l’un dell’altro. Certo è che quest’ultimo aggiunto deve assegnarsi allo Stile, indicato dalla Commedia. Al quale convenendosi alcuna volta il Volgare Illustre, che s’appartiene alla Tragedia, e tal’altra l’umile Volgare dell’Elegia, noi siamo indotti a riconoscere mal collocato il vocabolo «mediocre,» in contrapposizione ad «humile» (lin. 35), dovendovisi riporre «Illustre.» E difatti la Commedia o lo Stile comico, appunto perchè prende essere e qualità di Stile mediocre, può assumere ora il Volgare umile ed ora il Volgare Illustre. Laonde mi convinco che bisogni leggere: «si vero comice (canenda videntur), tunc Vulgare mediocre (idest, quandoque Illustre, quandoque humile Vulgare) sumatur.» Così emendato, il Testo mostra intera la sentenza significata e poi chiarita largamente dall’Autore, che nella sua Epistola a Cangrande ce la rafferma, secondo la dottrina espressa nel Catholicon di Fra Giovanni Balbi da Genova. Le quali cose importa che siano presenti al pensiero, chi voglia far diritta ragione del titolo di Commedia, che Dante impose al suo gran Poema, e dell’aver egli qualificato l’Eneide per Tragedia: Inf., xx, 2, 113. Di qui anzi prenderemo sicura luce a distrigarci da una delle più gravi e impacciose quistioni, che si mettano in campo, quasi a provare come il divino Poeta avesse in opera contrad-