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in rima, che vi si ribellano. Ma l’assolutismo filologico, di rimontare alla forma originale e individuale, esasperando le particolaritá, se ha dalla sua la scienza, ha mancato di senso pratico. La nostra lingua è tanto conservativa da Dante in poi, che quando gl’italiani dell’avvenire non comprenderanno piú la Commedia, sará lo stesso dei Promessi Sposi. Non è il francese antico, che bisogna tradurre e rifare, come il Bedier ha rinnovato il Tristano. Una enorme forza, che può consentirsi la prepotenza di deporre in archivio e serbare ai laboratori dei dotti certa opacitá arcaica che la sua energia naturale può ricolorire a tutto vantaggio.
Di questa forza ch’è reale, perché è storica, bisogna che la filologia tenga conto, e che se l’assimili, in quella parte della sua attivitá pratica che mira a pubblicar testi per tutti gl’interessati all’arte e al pensiero, e non per i seminari filologici. Conciliandosela, può disciplinarla. Per me il problema prossimo della filologia italiana, sará quello di studiare e proporre e disporre, per gli scrittori anteriori alla grammatica, una grammatica discreta e approssimata, per via di scienza, a larghi periodi di tempo meglio definibili, limitando le particolaritá individuali a quelle veramente significative. Non sará la nostra di oggi, né quella del Bembo, ma la disarmonia sará minore. Prima dell’avvento della linguistica non ci si poteva pensare: ora è forse urgente com’è maturo, per riaccostare al pubblico scrittori sommi che la scienza ha mortificato in rapporto al gusto e alla capacitá di leggerli con piacere. Sará la scienza la spada d’Achille che guarirá la ferita.
La presente edizione n’è un tentativo, in conformitá della corrente di dottrina, dirò, piú liberale, seguita con molta discrezione. La soppressione di certe «ondate», salvo i pochi casi necessari o piú probabili; e la riduzione delle oscillazioni; sono una violenza (se pure, ché non è sempre) la quale riesce affatto innocua all’arte, ma vantaggiosa all’uso. Poi una maggior cautela nell’applicazione di certe regole dotte, forse a lor volta piú violente di quelle modeste licenze: come la rima siculo-provenzale e l’ossitona sui nomi propri esotici. Invece ho accolto norme alle quali ci siamo avvezzi, perché sono innocenti, anche se non sono vere: come la divisione dell’articolo dalla preposizione, e degli avverbi composti. Nel complesso, un colorito linguistico che sta fra mezzo all’edizione di Oxford e della Societá dantesca, e le riconcilia.