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rime varie 55


LXII (1783).

O gran padre Alighier, se dal ciel miri
Me tuo discepol non indegno starmi,
Dal cor traendo profondi sospiri,
Prostrato innanzi a’ tuoi funerei marmi;

Piacciati, deh! propizio ai be’ desiri,
D’un raggio di tua luce illuminarmi.
Uom, che a primiera eterna gloria aspiri,
Contro invidia e viltà de’ stringer l’armi?

Figlio, i’ le strinsi, e assai men duol; ch’io diedi
Nome in tal guisa a gente tanto bassa,
Da non pur calpestarsi co’ miei piedi.

Se in me fidi, il tuo sguardo a che si abbassa?
Va, tuona, vinci: e, se fra’ pié ti vedi
Costor, senza mirar, sovr’essi passa.

LXIII (1783).

Dante, signor d’ogni uom che carmi scriva;
E più di me quant’ho mestier più forza
Sopra gl’itali cori; la cui scorza,
Debil quantunque, or fiamma niuna avviva:

Dante, non là di Flegetonte in riva,
Dove pioggia di fuoco in sangue ammorza,
Nè dove altro martire a pianger sforza,
Null’alma al par di me di pace è priva.

Strappato io son dal fianco di colei,
Ch’a ogni nobile impresa impulso e norma,
Mi ajutava a innalzare i pensier miei:

L’angiol del ciel, che sotto umana forma
Meco venia, m’è tolto: invan vorrei
Dietro a tue dotte piante or muover orma.