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di vittorio alfieri 59


Se di mio supplicar te non offendo,
8Vena1 ti chieggio che a narrarle basti.
Quella, che sola in vita mi ritiene,
È tal, che ai pregi suoi stil non si agguaglia;
11Onde, a laudarla, lagrimar conviene:
Ma di quel pianto, che a far pianger vaglia;2
Di quel, con che scrivendo le tue pene,
14Muovi d’affetti tanti in noi battaglia.


XLIII [lx].3

Al sepolcro di Lodovico Ariosto.

«Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori,»4
Le cortesie, l’imprese, ove son ite?
Ecco un avello, intorno a cui smarrite
4Stanno, aspettando in van5 che altr’uom le onori.
Sovr’esso io veggo in varj eletti cori
E le Grazie e le Muse sbigottite;
E par che a prova6 l’una l’altra invite
8 A spander nembo di purpurei fiori.
Oh glorïosa in vero ombra felice,
Che giaci infra sí nobile corteggio7


  1. 8. Vena, ispirazione, estro.
  2. 12. Dante (Vita nuova, XLI):
    ... le parole, ch’uom di lei può dire
    Hanno virtú di far piangere altrui.
  3. Nel 1777, scrivendo alcuni giudizi su’ principali nostri poeti, intorno all’Ariosto l’A. si esprimeva cosí: «Si succede [nel Furioso] una immaginazione all’altra con tanta rapidità, con tanto fuoco che non lascia mai languire chi legge... (Vegg. G. A. Fabris, I primi scritti in prosa di V.A., Firenze, Sansoni, 1899, 22); ma nell’Autobiografia resulterebbe che gradualmente egli passò da una specie di avversione contro il poema dell’Ariosto all’ammirazione piú grande; infatti, all’anno 1760, scrive che il continuo interrompimento delle storie dell’Orlando Furioso l’annoiava a tal punto che gli era impossibile andare innanzi, mentre all’anno 1783 si leggono le segg. parole: «Questi quattro nostri poeti [Dante, il Petrarca, l’Ariosto e il Tasso] erano allora, e sono, e sempre saranno i miei primi, e direi anche soli di questa bellissima lingua... e, dopo sedici anni ormai ch’io li ho giornalmente alle mani, mi riescono sempre migliori nel loro ottimo, e direi anche utilissimi nel loro pessimo: ch’io non asserirò con cieco fanatismo, che tutti e quattro a luoghi non abbiano e il mediocre ed il pessimo; dirò bensí che assai vi può imparare anche dal loro cattivo; ma da chi ben si addentra nei loro motivi e intenzioni; cioè da chi, oltre l’intenderli pienamente e gustarli li sente» (IV, 10°). In questo medesimo anno 1783, ritornando da Padova a Bologna, l’A. passò per Ferrara «alfine di compiere il suo quarto pellegrinaggio poetico, col visitarvi la tomba e i manoscritti dell’Ariosto»: il 18 giugno compose il presente sonetto.
  4. 1. È necessario ricordare che questo è il primo verso dell’Orlando furioso?
  5. 4. In van, sia perché è morta la poesia cavalleresca, sia perché un ingegno pari a quello dell’Ariosto non tornerà piú.
  6. 7. A prova, a gara.
  7. 11. Questo non è rigorosamente vero: