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56 | rime varie |
Di fuor, piú ch’arme, i ben oprati inganni;
Terrore al dentro, e antivedenza calda,
14Spiegar le fan piú là che Sparta i vanni.1
XL [lvii].2
Lontano dalla sua donna, rivolge a lei il suo pensiero.
O di gentil costume unico esempio,
D’ogni alto mio pensier cagione e donna;3
Del lasso viver mio sola colonna;4
4Di celestial virtude in terra tempio:
Mentr’io di pianto l’aere rïempio,
Com’uomo il cui martír mai non assonna,5
Forse un duol non minor di te s’indonna,6
8E del tuo molle cor fa crudo scempio.
Che fai tu sola i lunghi giorni interi,
Al trapassare or sí molesti e lenti,
11Piú che saetta a noi già un dí leggieri?7
D’udirti parmi in sospirosi accenti
Chiamarmi a nome; e veggio intanto i neri
14Occhi appannarsi in lagrime cocenti.
- ↑ 12-14. Antivedenza, preveggenza. Ad illustrazione di questa terzina potran forse giovare i segg. versi del Marco Foscarini niccoliniano (II, 3):
Qui sonno simular conviene,
E aver mill’occhi e mille orecchie aperti,
E far tesoro di parole e cenni,
Scriver anche il sospiro. Ove dispieghi
Il vizio le sue pompe, ognor presente
Vegli la nostra cura: hanno i piaceri
Il lor delirio; si discenda allora
Negli abissi del core, un solo istante
Scopre gli arcani di molt’anni, e tutto
Si sorprende il pensiero. A noi si affida
Un immenso poter: molti ha segreti,
Molti ha terrori: e simile alla notte
Sta la sua forza nel mistero: il mondo
Non ha gran forza che non sia mistero. - ↑ Leggesi nel ms.: «In piazza S. Marco, 3 giugno 1783».
- ↑ 2. Donna, signora.
- ↑ 3. Immagine frequente nel canzoniere petrarchesco.
- ↑ 6. Non assonna, non prende riposo: cosí l’Ariosto (Orl. fur., I, 49):
Con molta attenzïon la bella donna
Al pianto, alle parole, al modo attende
Di colui che in amarla non assonna. - ↑ 7. S’indonna, s’impadronisce, e lo usa anche Dante (Par., VII, 13):
Ma quella riverenza che s’indonna
Di tutto me, pur per Be e per Ice,
Mi richinava, come l’uom ch’assonna. - ↑ 11. Il Petrarca (Rime, CCCLXVI):
I dí miei, piú correnti che saetta,
Fra miserie e peccati
Sònsen andati....
Di questo sonetto pubblicò alcune varianti, di poca importanza, Giuseppe Mazzatinti, in Rivista d’Italia dell’ottobre 1903.