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24 | rime varie |
XXVII [xlv].1
Ad una danzatrice.
Agil pié che non segni in terra traccia,
Sí2 lieve lieve, in mille guise elette,
Armonïose scaltre carolette,
4Intrecci, onde ogni cuor vinto si allaccia;
O sia3 tu spicchi un breve vol, che faccia
Intorno intorno tremolar le aurette;
O sien tue mosse al suolo in sé ristrette,4
8Fervide e triste, ch’una l’altra caccia:5
A tue bell’arti campo esser vorria,
Non venal palco6 infra inesperto coro,
11Ma verde piaggia, ove smaltato pria
Natura avesse di vermiglio e d’oro.7
Il gran Giove mirarti ivi dovria
14Danzar fra le tre Grazie, e vincer loro.
XXVIII [xlvi].8
Disperazione, e speranza.
Lasso! che mai son io? che a lento fuoco
Già mi consumo, e appena appena io vivo
Tosto che m’ha della mia donna privo
4La sorte, ancor che sia (spero) per poco?
- ↑ Sonetto composto il 23 ottobre 1780, a Firenze.
- ↑ 2. Sí, ma.
- ↑ 5. O sia, sia che.
- ↑ 7. Dante (Purg., XXVIII, 52 e segg.):
Come si volge cou le piante strette
A terra ed intra sé donua che balli
E piede innanzi piede appena mette... - ↑ 8. Caccia, forse, fa dimenticare.
- ↑ 10. Il venal palco, è, con dispregio, il palcoscenico.
- ↑ 11-12. Dante (Purg., VII, 79 e segg.):
Non avea pur natura ivi dipiuto,
Ma di soavità di mille odori
Vi faceva un incognito indistiuto. - ↑ «Partita essa dunque per Roma verso il finir di decembre, io me ne rimasi come orbo derelitto in Firenze; ed allora fui veramente convinto nell’intimo della mente e del cuore ch’io senza lei non rimanea neppur mezzo, trovandomi assolutamente quasi incapace d’ogni applicazione e d’ogni bell’opera, né mi curando piú punto né della tanto ardentemente bramata gloria, né di me stesso. In codesto affare io avea dunque sí caldamente lavorato per l’util suo, e pel danno mio; poiché niuna infelicità mi potea toccare maggiore, che quella di non punto vederla. Io non potea decentemente seguitarla sí tosto in Roma. Per altra parte non mi era possibile piú di campare in Firenze. Vi stetti tuttavia tutto il gennaio dell’81, e mi parvero quelle settimane,