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188 rime varie


Cui mai servil menzogna non deforma,
4 Né doppio scopo, o pueril desío.
Rapida innanzi passami la torma1
De’ molti scritti, in cui sbagliai fors’io;
Ma da ignoranza il loro errar s’informa2
8 Non da malizia; e testimon n’è Iddio.
Muto e sepolto il mio nome si giaccia,
Pria di quest’ossa annichilato in tomba,
11 S’io non cercai del vero ognor la traccia.
Cigno, non l’oso io dir, bensí colomba
Dovrà nomarmi (ove di me non taccia)
14 Quella ch’eterna l’uom coll’aurea tromba.3


CXCII.4

Offre ad Asti i suoi libri.

Asti, antiqua Città, che a me già desti
La culla, e non darai (pare) la tomba;


  1. 5. La torma, la lunga schiera.
  2. 7. S’informa, dipende.
  3. 14. Perifrasi ad indicare la fama: il Leopardi, nella canzone Ad Angelo Mai, dice dell’A.:
    Disdegnando e fremendo, immacolata
    Trasse la vita intera....
  4. Il 28 febbraio 1797 l’A. scriveva al Conte Francesco Morelli, suo concittadino: «..... non avendo nessuna aderenza costà in Asti, mi fo ardito a pregarla di quanto segue. Io aveva radunati assai libri da piú di 10 anni, sí in Italia, che in Francia, ed in Inghilterra. Questi mi sono stati quasi tutti predati dalla Municipalità di Parigi nel 1792; dove li lasciai partendo per l’Italia con quella fretta che richiedevano le circostanze. Non li ho neppur piú ricercati, sapendo che la parola restituire non entra nel nuovo codice di codesto popolo schiavo-cannibale. Mi son messo da cinque anni in qua a comperare quasi tutti quelli che aveva perduti, e molti piú ne vo e anderò ricomperando, se campo. Questi son tutti o Greci o Latini o Italiani, e delle migliori edizioni. Confesso che mi dispiacerebbe moltissimo che si dovessero disperdere un’altra volta o prima o dopo della mia morte. La mia intenzione è adunque di farne un lascito alla nostra Città in testimonio del mio affetto per quel dolce terren ch’io toccai pria...». Poiché di questo suo disegno l’A. non fa piú parola nell’epistolario, è duopo ritenere che la risposta del conte Morelli il quale, vivendo ad Asti, sapeva a quali antipatie fosse fatto segno, nella sua città nativa, il Poeta (vegg. Brofferio, I miei tempi, Torino, 1857, II, 97) sia stata poco incoraggiante. Dopo la morte dell’A., «di lasciare i libri ad Asti la Stolberg, a quanto pare», scrive il Bertana (op. cit., 278 e seg., e in nota), «non pensò mai; bensí pensò di lasciarli a Torino»; sennonché Luigi di Breme (Bianchini ed Antona-Traversi, Lett. in. dell’A., pag. 227) il 26 ottobre del 1816 le scriveva che non conveniva dare i libri del grand’uomo a una città dove governo e nobili l’odiavano a morte, e che quei libri non potevano esser piú degnamente deposti che a Milano, dove l’A. aveva una schiera di devoti, dove esisteva una coscienza pubblica, dov’essi sarebbero stati venerati come sacre reliquie. La Stolberg infatti nel suo testamento del ’17 seguí il consiglio del di Breme; ma quella sua prima disposizione non ebbe effetto, malgrado che il Governo austriaco, per un momento, avesse in animo di farla dichiarare dai tribunali ancor valida. Cfr. la comuni-