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x | prefazione |
vi è raffigurata, è un’astrazione piú che una vera persona, è l’essere fornito di ogni virtú, ricco di ogni pregio, che ci richiama alla donna evanescente e incorporea dei poeti del dolce stil nuovo, aggiuntivi molti colori che l’A. trae dalla tavolozza di F. Petrarca. E questa specie di transumanazione avviene non già perché l’A. abbia voluto di proposito falsare o tacere la verità, sí per quella stessa tendenza all’idealizzare – tanto piú pronunciata nel Canzoniere che è opera di poesia – per cui l’A. fu talvolta inconsciamente tratto a deviare dalla verità anche nell’Autobiografia: ivi, egli finí col darci quasi il profilo del perfetto cittadino e del perfetto scrittore; qui, l’Albany è levata a simbolo della donna a cui non manca veruna dote né del cuore né della intelligenza perché il Poeta le possa chiedere ispirazione e consiglio.
Ma, del resto, la figura della Contessa non è la più importante del Canzoniere: l’A. lo invade quasi tutto con la sua persona, e sopra di lui si riverbera, in gran parte, la luce della sua poesia. Dal 1777 in poi egli vi si descrive ora per ora in cento maniere diverse: animato dall’Amore e dalla speranza della Gloria, scoraggito perché gli sembra, dopo tanto lavoro, di non aver fatto nulla e che il suo nome non possa resistere alla innumerevole serie degli anni: ora ritorna col pensiero a’ suoi amori e si duole di aver offerto il proprio cuore a chi non erane degno, mentre gli sembra che solo la Contessa possa essere la vera sua donna: qua, avvicinandosi al luogo dov’ella è, sente quasi
spirar l’ambrosia, indizio del suo nume;
altrove, in divoto pellegrinaggio alla tomba del gran padre Alighieri, gli chiede che debba fare contro i suoi numerosi e codardi nemici, e, visitata la camera ove il Petrarca morí, lamenta che gli Italiani la lascino in isquallido oblio. È insomma nel Canzoniere tutto l’A. sdegnoso, iracondo, insofferente di giogo, geloso e superbo di tutto ciò che è bello in Italia “dall’idioma gentil, so-