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prefazione vii


parte almeno, alla sua volontà; che, pur di pensare a modo suo, e di non dover tarpare le ale al proprio ingegno, lasciava alla sorella gran parte del suo patrimonio, e andava là dove lo chiamavano con voci possenti la Gloria e l’Amore. Nessuno, da Dante in poi, aveva fronteggiato cosí audacemente le parti come l’A. e nessuno sfolgorò mai con piú tremende parole delle sue coloro che, spacciandosi per araldi di libertà e di eguaglianza, portavano all’Italia — a giudicare dagli effetti immediati — nuove catene e una tirannia, se non peggiore, almeno uguale a quella che sino allora aveva funestata la patria nostra.

C’è nel pensiero dell’A. una specie di discontinuità; può sembrare a prima vista una contraddizione nei termini aver cantata, ad esempio, la distruzione della Bastiglia e aver detto con parole, che ne ricordano altre del Göthe:

Ahi memorabil giorno!
Atroce, è ver, ma il fin di tutte ambasce:
Di libertade adorno
Fia questo il dí che vera Francia nasce;

e aver rovesciato poi contro i rivoluzionari francesi quante parole contumeliose conteneva il vocabolario italiano, e, non essendogli quelle piú sufficienti o non parendogli abbastanza espressive, averne create persin delle nuove, ricorrendo a lingue straniere; può sembrare in contraddizione con se stesso - e nelle mie note l’ho fatto osservare - chi, dopo aver scritto contro la Chiesa cattolica in genere, e contro l’infallibilità del Pontefice, contro la confessione, contro il celibato dei preti in particolare quello che ognuno può leggere nel libro della Tirannide, vi dice: «La Chiesa cattolica soltanto possiede la chiave della verità, il talismano della felicità degli uomini e, se qualche piccolo errore può imputarlesi, potrà facilmente correggersi»; può sembrare in aperto e inconciliabile contrasto con se medesimo chi, dopo essersi nutrito del Rousseau, del Voltaire, dell’Helvetius, non solo rinnega i propri maestri, ma scaglia contro essi il velenoso quadrello delle