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di vittorio alfieri 83


LXXVI [cvii].1

Pene d’amore.

Quel tetro bronzo che sul cor mi suona,
E a raddoppiar mie lagrime m’invita,
Ogni mio senso istupidito introna,
4E mi ha la fantasia dal ver partita.2
Di lei, che lungi sol dagli occhi3 è gita,
Parmi ch’io veggo4 la gentil persona
Egra giacente all’orlo della vita,
8Che in questo pianto or solo mi abbandona.
E in flebil voce: o mio fedel (mi dice)
Di te mi duol; che de’ sospir tuoi tanti
11Nulla ti resta, che vita infelice.
Vita? no, mai. Dietro a’ tuoi passi santi
Io mossi, ove al ben far m’eri radice;
14Ma al passo estremo, irne a me spetta avanti.5


LXXVII [cviii].6

Sullo stesso soggetto.

Le pene mie lunghissime son tante,
Ch’io non potria giammai dirtele appieno.
D’atri7 pensieri irrequïeti pieno,
4Neppure io ’l so, dove fermar mie piante.


  1. Verso la metà di maggio del 1784 l’A. giunse in Siena, ove aveva antecedentemente spediti i suoi cavalli e dove si mise a lavorare all’Etruria vendicata, che aveva piú volte ripresa e interrotta. Ma, intanto, l’assillava il pensiero della sua donna lontana, alla quale scriveva e dalla quale riceveva sempre gran lettere (Aut., IV, 14°). A questo agitato periodo si riferisce il sonetto sopra riferito, che ha nel ms. l’annotazione: «Siena, cominciando il quinto decimo mese del mio esiglio».
  2. 4. Partita, separata, «divisa dalla immagine vera», direbbe il Petrarca.
  3. 5. Sol dagli occhi, ma è rimasta nel cuore.
  4. 6. Parmi ch’io veggo: migliore, forse, la lez. che di questi due versi si ha nel ms.:
    Egra giacente la gentil persona
    Parmi veder sull’orlo della vita.
  5. 12-14. Le parole della seconda terzina s’intendono dette dal poeta. E ricordano quelle del Petrarca (Trionfo della Morte, I, 139 e seg.):
    Debito al mondo e debito all’etate
    Cacciar me innanzi, ch’era giunto in pria...
    Al ben far m’eri radice, espressione simile alla dantesca (Purg., XI, 33):
    Da quei c’hanno al voler buona radice.
  6. Nel ms.: «Siena, 14 luglio».
  7. 3. Atri, cupi.