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libro iii - capitolo iii
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Mi viene ora osservato che parlando io dei capi-sètta innovatori nelle scienze, me li conviene in gran parte sottrarre dalle leggi a cui ho sottoposto le scienze stesse; e chiaramente vedo che le loro vicende accomunare si debbono a quelle dei letterati; poiché, come filosofi, un cosí splendido loco riempiono degnamente fra essi. Questi pochi innovatori-creatori si debbono dunque in tutto eccettuare da quegli altri tutti che nelle scienze esatte, dotti soltanto dello scibile, e facendo pure alcuni benché impercettibili passi piú in lá del di giá saputo, si debbono quindi riputare come le vere ruote dei progressi delle scienze. Questi sono gli scienziati proteggibili e protetti: ed a questi l’esserlo può sommamente giovare. Ma gli altri, come Euclide, Archimede, Newton, Galileo e Cartesio, interamente corrono la vicenda dei letterati. Onde, se hanno avuto (come i tre primi) la fortuna di nascere in paesi liberi, di poco altro abbisognano che di essere lasciati fare; ma se nati sono (come i due ultimi) in terra di schiavitú, facilmente saranno dalla civile e religiosa potenza perseguitati e impediti piú assai che protetti; e in fatti perseguitati e impediti furono questi due ultimi.

Lo inventare dunque sistemi nella scienza dell’universo soggiace in tutto alle stesse vicende a cui soggiace lo scoprimento delle proibite morali veritá: ma il semplice aggiungere alcuna cosa ai giá scoperti e dimostrati sistemi, e il far progredire le scienze, principalmente nella natura dei corpi a parte a parte pigliandoli, in tutto soggiace alle vicende annesse al coltivare le veritá non offendenti l’assoluto potere; come quelle che in nulla influiscono sopra lo stato politico, e in nulla migliorano la proibita scienza del cuore dell’uomo.