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libro iii - capitolo ii
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si lasciano da un impulso assai piú incalzante, dalla necessitá, che è morte in parte del primo; verrei facilmente a conchiudere che le lettere nel principato, ancorché protette, non vi possono sussistere se non a stento, e male e posticcie; appunto per quella necessaria protezione che elle vi ricevono. Il che mi pare assai diverso dal non potere esse sussistere senza protezione.

Venendo quindi alla seconda parte del mio assunto, brevemente dimostrerò che quegli scrittori che farsi saprebbero dissimili dai sopra mentovati scrittori cortigiani, sarebbero assai migliori di essi. Chi vuole con imparzialitá riflettere ed attribuire gli effetti alle vere cagioni, ed a ciascuno restituire il suo, è pur costretto a dire che sí il nascimento come la perfezione delle lettere sono stati frutto da prima di libertá e non di principato; ma che i principi trovandosele poscia tra’ piedi, le hanno, col proteggerle, assai piú deviate al mero diletto che non accresciutele col farle piú utili. E gli esempi pure una tal cosa ci provino. Virgilio ed Orazio tolsero bensí le invenzioni ed i metri dai greci; ma da Augusto e dai loro tempi null’altro ne trassero che la timiditá e la lusinga; e non ardirei aggiungervi l’eleganza; poiché certamente questi due autori, come tutti gli altri latini, piú assai ne accattarono e ne trasportarono nel loro idioma dal greco, che non dal bel favellare di Augusto e de’ suoi cortigiani. La piú nobile parte di questi due eccellenti scrittori era dunque in loro trasmessa dalla passata greca libertá; la peggiore e la men necessaria dal loro presente servaggio.

Cosí l’Ariosto ed il Tasso, che sono pure le due gemme del nostro bel secolo, presero dai nostri antichi, Dante, Petrarca e Boccaccio, le invenzioni, i metri e di piú tutto il nerbo, il fiore e la eleganza del favellare, che giá si era perfezionato in Toscana, senza né l’ombra pure di niuna medicea protezione. Ma da essi stessi e dai loro protettori e dai tempi altro non presero l’Ariosto ed il Tasso fuorché il timore, le adulazioni, il poco e debolmente pensare. E cosí in Francia gli eleganti scrittori, benché non vi appaiano se non sotto l’apice della

 V. Alfieri, Opere - iv. 13