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ii. del principe e delle lettere
 



una pura chimera, prova bastantemente che sotto niuno aspetto vi può essere commercio onesto e legittimo fra il letterato ed il principe. Ma posto pure che un tal principe proteggente e non inquirente potesse esistere, quel letterato che ne trarrebbe mercede, senza null’altro restituirgli che oltraggi, (lo scrivere il vero è un continuo oltraggiare chi vive del falso) non vi scapiterebbe forse come scrittore; ma moltissimo vi scapiterebbe come uomo onorato, in riga di gratitudine. Non si può onoratamente cercare di nuocere a chi ti giova; e come si può egli scrivere un buon libro qualunque, che alle massime, all’esistenza, e al potere del principe non contraddica? e che quindi non lo offenda? e che quindi, in tutto o in parte, immediatamente o col tempo, non gli riesca dannoso?

Tra il principe dunque e il letterato vero, che facciano e sappiano amendue l’arte loro, non vi può essere comunanza, né reciprocitá, né armonia, né assolutamente legame nessuno giammai.

Capitolo Quinto

Differenza totale che passa, quanto alla protezion principesca,

fra i letterati e gli artisti.

Ma un’altra classe d’uomini sublimi a me si appresenta, che io chiamerei letterati muti. Questi con tele, bronzi, marmi o altri simili, grandissima fama acquistano a se stessi, e moltissimo diletto, misto pur anche d’alcuna utilitá, procacciano altrui. Costoro, come imitatori anch’essi e ritrattori della natura, vanno quasi del pari coi letterati. Le opere loro vengono poste in cielo dall’opinione universale, e dagli stessi scrittori; i piú grandi tra essi vengono paragonati ai maggiori letterati. Si dice in oltre, e si crede, che l’impulso dei sommi artisti fosse assolutamente lo stesso che quello degli scrittori: talché, a stringere in una parola, le arti e le lettere sarebbero una cosa stessa; e tra Michelangelo e Dante non passerebbe altro