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446 arnalda di roca

Che bestemmiando si ritira, e scaglia
Il dardo che gli avanza. Oh! maledetta
Sia quella freccia, che gittasti, Osmano!
E se pur adorato, unico in terra
Ti resta un figlio, quella freccia un giorno
Sia destinata di tuo figlio al core.
Essa d’Arnalda il morbido volume
Lambì dei crini, rasentò l’usbergo;
E in petto al Conte si confisse. Intorno
S’affollano pietosi i combattenti
All’egregio ferito. Indarno ei volle
Anco fissar ne le fuggenti lune
Gli occhi errabondi, e cadde, e a la vicina
Chiesa fu tratto, come cosa morta!

     Era il funereo tempio ove la stanca
Polvere, e le virtù parche, e le colpe
Dormivano dei re; però che dentro
Gli avelli incisi di bugiarde cifre
La valorosa, irrequïeta e rea
Lusignana progenie era discesa.
Per mezzo all’ombra de le vôlte acute
Come lampa di speme in desolata
Anima, il sol dall’occidente invia
Mesto un saluto su purpureo raggio
Popolato da mille atomi erranti;
E, trapassando pei dipinti vetri,
Di fantastiche tinte si colora
Sovra la tomba d’Elena posando,
Quasi paresse coi sanguigni, azzurri
Guizzi di luce figurar l’eterne
Fiamme, dove la perfida reina
Sconta il veleno e i casalinghi lutti.3