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poemetto giovanile. 425

Sopra la sacra collinetta attendi
Che ancor fumin le cento are a la dea;
Poi che sotto gli acuti archi del tempio
Di Nicósia,2 una man misterïosa
Sovra le pietre dell’altare infranse
La corona di Cipro, e la fortuna.
E su le aiuole dei giardin deserti
Dei Lusignani inoperosa affila
L’Arabo l’arme, e nel pensier lascivo
Vagheggia ai vezzi de le tue fanciulle
Bramate e il rapimento; in fin dal giorno,
Che fu nel fango di tue piazze tratto,
Il veneto stendardo, infin dal giorno,
Triste e lontano che or m’invita al canto.

     Era una notte di settembre. — Un grave
Alito d’infocata aura pesava
Su lo squallido pian di Mezzarea;
Pure i diruti vertici dei monti
Circostanti inalbava un vel di neve,
Tracciandone le creste ardue del cielo ù
Pallidamente su gli immensi azzurri.
Per i colli regnava e per le valli
Quella perfida calma, onde talora
Il furïar dei turbini e lo scoppio
Più cupo de le umane ire s’annunzia;
Udito avresti il remigar dell’ali
D’augel notturno, che tornando ai balzi
Di Santa Croce, si recava al nido
La preda semiviva. E degna invero
Del feroce suo sguardo era la scena
Sottoposta.
                     La valle ampia, rotonda,