XIII.
Affrettando la via, come sospinto
Da non so qual paura, abbandonai
Quel campo seminato di sventura.
E per novo sentier, che più veloce
S’inerpicava al colle,
Salendo mi pareva
A quando a quando scorgere un feroce
Lampo di riso balenar sui volti
Dei barbari insepolti;
E qualche man che livida sporgesse
Con brancolanti gesti
Tentando al mio passaggio
D’afferrarmi le vesti.
Quivi sull’erba ravvisai caduti
A drappelli i devoti
Cacciatori del Brénnero; cui meglio
Era inseguire col sagace veltro,
Col mazzolino sul cappel di feltro,
Pei nevicati vertici remoti
Le retiche camozze; e sull’aperto
Verde dei prati fulminar le lepri
Fuggendo uscite dai tentati vepri.
Quivi giaceano con gli ambrosii crini
Eruttati, ahimè! di polvere i divini
Battaglieri dell’Enno; a cui fu gloria21
Sul passeggiato lastrico sonoro
Di fremente cittade
Sbatter l’acciar de le innocenti spade.
Nè li guardai. Ma in vetta