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326 i sette soldati.

Giammai tremato; e gli altri intorno intorno,
In circolo fremente,
Con l’occhio fisso e con la guancia smorta,
Seguíano i guizzi e il cenere cadente
Di quella nova morta.
Fu chi rivolto a la vicina selva,
A un rovere le sciolte
Briglie, gli arcion, le offese
Armi, l’assisa, e la speranza appese;
E seminudo su le ignude groppe,
Col cibo d’una ghianda,
Con la sua frusta glorïosa in pugno14
Tornò libero figlio de la landa.
Fu chi dell’onta impazïente, al petto
Drizzò la bocca del fedel moschetto;
E, dato col pensiero a la lontana
Madre, che l’attendea, l’ultimo addio,
Tornò libero a Dio.
E al traditor, che torbido le file
Cavalcando radea, spruzzò sul fronte
Una goccia di sangue del tradito.
O Arturo, Arturo! tutta15
La rapida ed eterna onda dell’Istro
Da quel segno sinistro
A lavarti non vale;
Poi che l’infamia ormai su lo aborrito
Campo di Ieno a te pose nel dito
Il suo vipereo anello nuzïale. —
Tramontò il sole, e l’Ungheria. Sul piano
Solingo, su la bruna
Selva, e le ville, tutta notte rise,
Come beffarda maschera, la luna.