Or presta attento, Itala mia, l’orecchio
Ad insolito canto.
A te dinanzi9
Precinto dal solenne arco dei cieli
Vedi un ampio teatro, e le montagne
In colli umilïarsi, e le colline
Morir ne la pianura; e fra le dense
Macchie dei cerri e le pinete brune
Il bianco uscir de le romite ville,
Pari di cigni a candida famiglia,
Quando raccoglie il vol ne la vallea.
E fuvvi un dì, che umano occhio non vide,
Ma sopra un libro d’immortal granito
Il sapïente divinando lesse;
Nè l’illustre peccato avea commesso,
Immemore di Vesta e de la tomba,
Anco Silvia a la fonte; e non la molle
Velata Etruria, che legò ai venturi
Fin ne la lingua eredità d’arcani,
Negli ipogei funèbri era discesa;
E non ancor dalle paterne rive
Maledette ramingo iva il Pelasgo
Con le rancure dell’errante Ebreo
Tragicamente patria altra cercando:
Misterïoso popolo che passa,
Siccome lamentosa ombra coi dolci
Penati in su le spalle entro le scure
Nebbie dei tempi.
Allora il Lazio a tanta
Ed unica sortito èra di gloria,
Che i muti e sonnolenti ora patisce
Anni di solitudine, giacea
Sepolto ancor ne l’onde prime. Italia,