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carta, che vanno del continuo riempiendo. Dico dunque, che dalle cose dette di sopra, e ben’osservate inclino grandemente à sottoscrivermi alla sentenza del nostro dottissimo Signor Galileo nel suo Saggiatore, dove sottilmente filosofando de’ colori, pensa che non sieno cose reali fuori de’ nostri occhi, ma solo una tale affezzione, che in essi si produce, la quale affezzione io dirò, che non è altro, che una tale perturbazione delle parti della tunica retina del nostro occhio, alla quale abbiamo poi noi imposti i nomi di colori diversi secondo la diversità di quella conturbazione; il che mi muovo grandemente a credere considerando quella apparenza di colori, che mi si genera nell’occhio, quando l’affisso in quella finestra invetriata, come si è notato di sopra, nel qual caso, senza ch’esteriormente fossero stati esposti ne rossi, ne gialli, ne verdi, ne pavonazzi a gli occhi nostri, in ogni modo con l’esser prima stata conturbata gagliardamente quella parte della tunica retina da i vivaci lumi della finestra, chiudendo poi noi gli occhi, e rivoltandoli in altra parte, nel ridursi la medesima tunica alla sua prima costituzione trapassa per altre; & altre varie posizioni di parti, e conturbazioni, e così produce nel nostro sensorio varie affezzioni, e ci si rappresenta quella varietà di colori.
XVII. Et è da notare diligentemente, che mai non intravviene, che l’immagine di quella finestra ci si rappresenti con tanta chiarezza di splendore, ne colorata in quel modo, che ci appariva, quando fissamen-