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Di alcune di queste piante si valevano pure i Romani a simboleggiare i sentimenti e gli affetti dell’animo.

Col legno di una specie di pino (taeda Plin.) preparavansi nelle nozze le fiaccole ardenti, onde rischiaravano il cammino alla novella sposa, che conducevasi festosamente sull’imbrunire alla casa del marito, e però il latino taeda trovasi usato per figura a significare le stesse nozze:

» Quo thalamum eripiat Teneris, taedasque moretur.


Ne’ giuochi istmici una corona di pino era il premio dei vincitori.

E come alla gioja segue d’appresso non rare volte il dolore, alla gloria può tener dietro l’infamia, con opportuna significanza un ramo di questo medesimo pino sospeso alla porta delle case era segnale di lutto o di disonore. Per un simbolo parimenti funesto gli antichi riguardavano il cipresso, da loro fatto sacro alle Erinni e agli Dei d’Averno. Rami di cipresso si appendevano alle casse funebri, e alle case nelle quali giaceva un defunto. Coronate di cipresso si conducevano all’altare le vittime. Solevansi anche i cipressi piantare davanti i sepolcri e lungo le vie che vi guidavano:

» Est urbe egressis tumulus templumque vetustum
» Desertae Cereris: juxtaque antiqua cupressus,
» Relligione patrum multos servata per annos

Virg. Aen. lib. II.