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220 il polso

potevano non essere tardi e magri compensi alle fatiche della sua servitù, ma, tutt’al più, segni di compassione per lui in una confessione oramai manifesta: «Il cuore l’ho, oh se l’ho!; ma non per voi, povero conte!» Or bene, il conte La Fratta non disse alla marchesa Arnisio come Publio a Barce nel melodramma del Metastasio:

               Se più felice oggetto
                    Occupa il tuo pensiero,
                    Taci, non dirmi il vero.
                    Lasciami nell’error!
               È pena che avvelena
                    Un barbaro sospetto;
                    Ma una certezza è pena
                    Che opprime affatto un cor;

no: i due amori, l’uno della dama e l’altro di sè, che premevano l’animo del conte e vi si rafforzavano senza confondersi, lo sospingevano ad accertare la verità; l’uno, perchè chi è innamorato talora dubita a torto; l’altro, perchè, se non dubitasse a torto, egli ritraendosi a tempo non compromettesse la sua dignità e la sua fama di cavaliere di spirito.

Bel tema, è vero?, sarebbe stato per una satira il caso d’un patito che con zelante servitù e con dabbenaggine inconscia facesse riparo all’amore ignoto della sua dama!; e La Fratta aveva in odio le satire. O, dunque, la marchesa amava alcuno di quelli che le farfalleggiavano intorno, il quale, come minore del conte, ella