Paesaggio III
Questo testo è completo, ma ancora da rileggere. |
◄ | Esterno | Il vino triste | ► |
Paesaggio III
Tra la barba e il gran sole la faccia va ancora,
ma è la pelle del corpo, che biancheggia tremante
tra le toppe. Non basta lo sporco a confonderla
nella pioggia e nel sole. Villani anneriti
l’han guardato una volta, ma l’occhiata perdura
su quel corpo, cammini o si accasci al riposo.
Nella notte le grandi campagne si fondono
in un’ombra pesante, che sprofonda i filari
e le piante: soltanto le mani conoscono i frutti.
L’uomo lacero pare un villano, nell’ombra,
ma rapisce ogni cosa e i cagnacci non sentono.
Nella notte la terra non ha piú padroni,
se non voci inumane. Il sudore non conta.
Ogni pianta ha un suo freddo sudore nell’ombra
e non c’è piú che un campo, per nessuno e per tutti.
Al mattino quest’uomo stracciato e tremante
sogna, steso ad un muro non suo, che i villani
lo rincorrono e vogliono morderlo, sotto il gran sole.
Ha una barba stillante di fredda rugiada
e tra i buchi la pelle. Compare un villano
con la zappa sul collo, e s’asciuga la bocca.
Non si scosta nemmeno, ma scavalca quell’altro:
un suo campo quest’oggi ha bisogno di forza.