Esterno
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Esterno
Quel ragazzo scomparso al mattino, non torna.
Ha lasciato la pala, ancor fredda, all’uncino
— era l’alba — nessuno ha voluto seguirlo:
si è buttato su certe colline. Un ragazzo
dell’età che comincia a staccare bestemmie,
non sa fare discorsi. Nessuno
ha voluto seguirlo. Era un’alba bruciata
di febbraio, ogni tronco colore del sangue
aggrumato. Nessuno sentiva nell’aria
il tepore futuro.
Il mattino è trascorso
e la fabbrica libera donne e operai.
Nel bel sole, qualcuno — il lavoro riprende
tra mezz’ora — si stende a mangiare affamato.
Ma c’è un umido dolce che morde nel sangue
e alla terra dà brividi verdi. Si fuma
e si vede che il cielo è sereno, e lontano
le colline son viola. Varrebbe la pena
di restarsene lunghi per terra nel sole.
Ma a buon conto si mangia. Chi sa se ha mangiato
quel ragazzo testardo? Dice un secco operaio,
che, va bene, la schiena si rompe al lavoro,
ma mangiare si mangia. Si fuma persino.
L’uomo è come una bestia, che vorrebbe far niente.
Son le bestie che sentono il tempo, e il ragazzo
l’ha sentito dall’alba. E ci sono dei cani
che finiscono marci in un fosso: la terra
prende tutto. Chi sa se il ragazzo finisce
dentro un fosso, affamato? È scappato nell’alba
senza fare discorsi, con quattro bestemmie,
alto il naso nell’aria.
Ci pensano tutti
aspettando il lavoro, come un gregge svogliato.