Otto mesi nel Gran Ciacco/Parte prima/V

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V

LA CATASTROFE DEL RIO DE LAS PIEDRAS

LA BOCA DEL TEUCO - VENTI E PIOGGIE



AA
40 leghe dalla foce, in una curva dove da un lato è una ripa a picco e dall’altra una soave spiaggia erbosa, trovammo due croci, e a pochi metri un’altra ancora: pietoso ricordo di due sventure! Son forse tre anni che un vaporino, il Rio de las Piedras, capitano Wilken, con 14 uomini di equipaggio, fu assalito e saccheggiato dagli Indiani, che ammazzarono il capitano e metà della ciurma, trovando l’altra metà scampo nella fuga protetta dalla cupidigia dei nemici. Fidando il capo nelle dimostrazioni d’amistà degli Indiani e nell’efficacia di un trattamento affettuoso e liberale, aspettò improvvido a rompere i canapi quando già il numero aveva fatto arditi i nemici, che a colpi di mazza finirono lui e sette dei suoi compagni, facendo ressa sul bastimento, impossessandosi inoltre delle mercanzie, delle armi e delle munizioni. Più in là un Alfiere dell’esercito argentino, accorso dopo alcune settimane a vendicare l’eccidio, trovò morte inonorata nel fiume, travolto da un gorgo o da un yacaré in agguato, mentre si era tuffato nell’onda a refrigerio della giornata. Sfilammo dinanzi [p. 44 modifica]a questi monumenti della morte, col cuore profondamente commosso, l’ora e le nostre circostanze contribuendo ad aggravare l’impressione, e dato un mesto addio e ricevuto un severo ammaestramento, continuammo la marcia.

Erano sette giorni che viaggiavamo ed avevamo fatto novanta leghe e non vedevamo Indiani, benchè non mancassero segni della loro vicinanza. Solamente a metà del cammino, dentro un bosco, vedemmo in distanza uno che spiatici si ritirò. Ci molestava quest’isolamento perchè ci dava motivo a timori. Quando, giunti dove si riuniscono i due rami del fiume che si sono formati 200 leghe più sopra (1000 chilometri) si presentano Indiani che pescavano e che paiono sorpresi; li vediamo raccogliersi in un lato attraversando il fiume in canotto e lasciando dall’altro parte della loro preda, su cui frattanto si gettavano bramosi i caranci ed altri uccelli di rapina. Intanto s’alza di li presso un branco di flamencos, uccelli color rosa, pescivori, col becco a cucchiaio che fanno scorrere rapidamente sull’acqua descrivendo col lungo collo un semicircolo e avanzando continuamente. Il vaporino è in un passo poco buono e siamo obbligati a far manovre d’andirivieni che ritardano la marcia. Temiamo che gli Indiani credano che ci siamo intimoriti alla loro vista; li vediamo ritirarsi, riapparire, spiarci, risparire. Noi ci avanziamo, e proprio alla foce compariscono tra i cespugli e gli alberi, sdraiati o accoccolati, nascosti e seminascosti, un pochi, e poi più e poi molti, che, scoperti, chi scappa, chi si rizza, chi si rovescia. Gridiamo loro: amicco, amicco, e otteniamo farne avvicinare un sette o otto, di cui alcuno sapeva un poco di guarany.

Gettiamo tabacco; vogliamo entrare nel ramo nuovo del fiume; domandiamo come sta e crediamo ci vogliano far capire che a poche leghe vi era una cascata e poi una laguna. Desidero giungervi, ma il fiume stretto con molta corrente, tortuosissimo e il vapore debole ce lo impedirono. Intanto gli Indiani insospettiti, dapprima si ritirarono con pausa sempre mostrando il [p. 45 modifica]petto, poi credutisi fuori di vista scappano e dall’alto della torrina li vediamo andar riunendosi più oltre presso una curva a lato d’una tolderia. 1 Io m’ero armato che mi facevo paura! Non potendo spuntare la corrente, e d’altronde non essendo per là il nostro obiettivo, torniamo indietro e infiliamo l’altro ramo. Ancorati a poca distanza, sostituiamo al sospettato combattimento, una pacifica abluzione.

Il giorno dopo a poche leghe trovammo un altro braccio, provammo a esplorarlo, ma fatti circa un 30 chilometri bisognò arrestarci col vaporino. Allora sei, bene armati, scendemmo in canotto, e su pel fiumicello. Il silenzio il più profondo ci contornava; neppure un uccello che svolazzasse; solamente qualche yulo alto più d’un metro, bianco, ritto impalato su due gambe che paiono trampoli, con un beccone lungo lungo e grosso più del capo, si faceva scorgere immobile su una punta di tosca, lo sguardo fisso nell’acqua a sorprendere la preda. Le acque salatissime; le ripe gemevano tra strato e strato, indizio di vicine lagune con probabile dimora di Indiani; il letto della piaggia fangoso come una salsa; il campo coperto di folto erbone e di cannucce, con alberi radi, grandi, tutti secchi: che desolazione! A una gomitata una tigre che mira e s’imbosca. Di tanto in tanto un fuoco spento e rimasugli di vitto, e pochi stecchi con frasche, tentativo di casa, e pedate impresse sul terreno, e qualche palo ritto per guida del cammino nel mezzo del letto del fiume, che va sempre più assottigliandosi, finchè ne è d’uopo tornare indietro. Scendiamo prima in terra, e c’impantaniamo fino alla noce; saliamo su degli alberi, e si vedono boschi in lontananza e fumaiole di tolderie.

Già non abbiamo nemmeno un palmo di acqua... Dopo poche ore eravamo a bordo del vapore, dove si riapre l’animo di tutti al ritrovarci insieme dopo una separazione, benchè corta, in luogo così triste e sospetto. [p. 46 modifica]

Ma ahimè il braccio che dovremo percorrere non porta che un terzo dell’acqua di tutto il fiume in quel momento; più tardi non ne porterà che un quinto; la navigazione stata stentata finora, come non sarà per le 200 leghe che ci restano?

E le provvigioni erano per due mesi, mentre le pioggie non principieranno che tra sette! e siamo nel centro del Ciacco e in mezzo ai Toba! In verità erano circostanze spiacevoli.

Dovete sapere che qua nel Ciacco e in generale in tutto il nord della Repubblica, e, mi permetterei di dire, di tutta la parte di questo mezzo continente meridionale, compresa tra i 40° e 30° e l’equatore, le pioggie cadono da dicembre ad aprile, cioè nell’estate; a novembre e a maggio eccezionalmente, cioè secondo il soffiar dei venti. I venti che saturano l’ambiente di vapore acqueo sono quelli che vengono dal nord e nord-est, ossia dal lato dell’equatore, caldi e umidi, e quelli che determinano le pioggie sono i venti sud e sud-est, secchi e freddi, o sia che vengano direttamente dal polo antartico strisciando la Patagonia arida e fredda, o che al polo stesso si elevino, corrono un 40 o 50 gradi come corrente superiore atmosferica e si precipitano poi alla superficie seguendo fino all’equatore come corrente superficiale. Io avrei questa opinione la quale si accorda anche col sistema della circolazione generale atmosferica, e rigetterei anche l’altra di dare a questi venti una causa interamente locale, basandomi anche sul fatto che nel sud della Repubblica la stagione delle pioggie è la invernale.

Non credo esatta l’opinione di coloro, che dicono i venti sud carichi di pioggia, perchè anche quando originariamente lo fossero stati col passare a un ambiente sempre via via più caldo, com’è al nord, e perciò riscaldandosi, acquistano una potenza igrometrica tanto maggiore fino a divenire relativamente secchi. Intanto qua, prima di piovere, per tre o per sei giorni corre un venticello equatoriale caldo e rado che taglia il respiro. La temperatura si eleva ai 42 e ai 45 gradi cen[p. 47 modifica]tigradi; si produce un sudore abbondantissimo anche stando quieti come l’olio. Non è possibile trovar posa nè nel letto, nè a sedere, nè camminando, finchè, quasi sempre dopo mezzogiorno, principia il vento nord a virare all’est e poi più al sud, che porta freddo e con violenza si caccia dinanzi turbini di polvere, oscurando il cielo, poi si avanza come un temporale, fa abbassare la temperatura a 25 gradi e a meno ancora e determina quasi sempre la pioggia, condensando i vapori dell’ambiente. A volte si producono vortici: una notte di dicembre vi fu una vera pioggia di pesci del peso di un quattro once l’uno i più grossi, quasi tutti uguali, essendo stati lasciati i più grossi e i più piccoli probabilmente in luoghi via via diversi; pesci tolti dalle lagune dei dintorni.




Note

  1. Tolderia: riunione di molti toldi o capanne ove abitano gl’Indiani.