Osservazioni, progetti, e consigli risguardanti l'agricoltura nel Trentino ora Tirolo italiano/I

Dello stato nel quale fu ed è la terrecoltura nel Trentino principato

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Dello stato nel quale fu ed è la terrecoltura nel Trentino principato
Prefazione II

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DELLO STATO

NEL QUALE

FU ED È LA TERRECOLTURA

NEL TRENTINO PRINCIPATO.




Sin verso la fine del passato secolo decimottavo fu la Terrecoltura in questo paese, che la natura con invidiata parzialità favorisce, per un certo abitual languore degli abitanti, da più cause prodotto, con grave nostro danno trascurata anzi che no.

La gente di campagna lavorava, ma i lavori eseguivansi dietro metodi imperfetti, con dichiarata avversione ad ogni novità, senz’altre cognizioni che quelle dell’inveterata, pratica, e senza viste di utili maggiori. Quello che i giovani avevan veduto farsi dai vecchi era tutto ciò che potevasi; non si [p. 2 modifica]pensava neppure che fosse possibile fare meglio o di più. Sarebbe stato pensar male de’ buoni vecchi; i quali, essendo buoni, dovevano anche sapere e fare tutto in eccellenza.

I ricchi possidenti di terreni erano intenti a tutt’altro che al lavoro delle campagne. Alcuni di essi ignoravano dove i proprii fondi un poco lontani fossero situati. I loro affittuali e coloni ricevevano documenti nelle scritture, dette di Locazione, che i padroni non leggevano, ed essi non sapevano leggere. Se qualche Signore faceva eseguire un’opera agraria, la spesa era grande, e l’opera si faceva male, perchè gli operai erano inabili; e male o ben fatta, si trascurava direi quasi dai più. Per ciò era divenuta massima generale che al ricco non torna a conto lavorare a sue spese la campagna. Si potea dire, e dicevasi, qual che ne fosse poi la cagione, che i terreni più male coltivati erano in generale quelli de’ ricchi.

Molti fra gli Ecclesiastici lasciavano anch’essi in abbandono i fondi spettanti ai loro benefizii o per indolenza, o per timore di spendere, o per ignoranza, di un’arte la quale, a fine di porgere esempi di operosità, di promuovere il benessere nel popolo, e con ciò scemare i disordini causati dalla povertà, esser dovrebbe la più ricercata e cara ricreazione del Sacerdote.

[p. 3 modifica]I Comuni, allora liberissimi di fare del proprio tutto ciò che volevano, lasciavano scemarsi per frane, o volevano ad uso di pascolo, credendo ciò necessario, i pubblici terreni; e abbandonavano a marcire nelle selve travi e legname, oppur facevano de’ boschi inutili guasti, o li vendevano per sostenere lunghe liti, ovvero per comperare grani, di cui potevano avere abbondanza coltivando in maggiore quantità e meglio le proprie terre. Ad aver buone, brevi, e comode vie sul piano e ne’ monti si pensava in pochi luoghi; e così poca era la cura che se n’avea, che al presente il voler renderle praticabili costa ai paesi incredibili somme.

A praticare acquedotti non s’induceva la gente perchè si dipingeva la impresa impossibile, o per le enormi somme che sarebbonsi dovute esporre, al tutto ruinosa. I torrenti e i fiumi avevano pochi e malfermi ripari, ovvero tali che apportavano danni invece di giovamento; sicchè vedevansi tratti assai vasti di buon terreno o rapiti dalle correnti, o coperti di ghiaje, o ridotti a paludi.

Da siffatta indolenza e trascuranza, da tal languore quasi universale dell’inesperta popolazione, avevano origine mali gravissimi; tra i quali il non minore era deficienza di numerario, perchè il commercio, ch’esser poteva in molti rami attivo, e quindi sorgente di nuova industria, e d’utile sempre [p. 4 modifica]crescente, era per necessità passivo, e le genti invece di vantaggiarsi contraevano debiti, e dovevano ancora talvolta, soffrire penuria, e starsi affamate.

Questo misero stato, che non impediva ciò che suole avvenire quasi dappertutto, il crescere della popolazione, (perché, la salubrità del clima nelle valli alte, e lo starsi nella solitudine contenti al poco, e non assuefatti ad alcuna sorte di lusso, e segnatamente la religiosità madre del buon costume, favorivano e facean prosperare i matrimonii) costrinse una parte del popolo ad emigrare per più mesi dell’anno; e questa emigrazione, oltre all’utile del minore consumo che ne risultava, portò in paese denaro, esperienza, operosità, emulazione. I contadini, fatti coraggiosi dalla speranza di migliorar condizione, diedero mano a lavorar meglio i loro campi, e da essi, specialmente nelle valli, dove quasi ognuno possede poco o molto in terreni, cominciò (verità notabile) il movimento, e ’l progresso. Qualche Signore, non atterrito dall’insensato e funesto: non torna a conto: diede col suo esempio eccitamento all’operare più, e meglio; alcuni benemeriti Ecclesiastici fecero altrettanto sprezzando le calunnie de’ poltroni, e invidiosi; ma il progresso non sarebbesi veduto se i Villani non avessero dato principio, e poi chiesto con suppliche e con [p. 5 modifica]minacce divisione di terreni comunali, ed arginazioni ai fiumi, e offerto ai ricchi migliori condizioni per poter coltivar meglio le loro terre. Noi vedemmo ridotti a coltura jugeri di terra a migliaja per le istanze ed importunità de’ poveri contadini, e dopo di ciò accresciuti i prezzi a favore di chi affittò i suoi fondi, nel nostro paese quasi dappertutto.

Succedettero poi le guerre, e i rivolgimenti politici; e quello che temevasi, dover apportare esterminio e miseria (ciò che avverossi per alcune famiglie) produsse invece bisogno di operare, sparse cognizioni ed esperienze nuove, difuse denaro, eccitò emulazione, aprì nuovi rami all’industria, procurò mezzi a chi nulla o poco possedeva in terreni di farne acquisto, e di ridurli a vantaggiosa coltura. I ricchi che non alienarono a mercanti od a contadini i loro fondi, venderono più cari i frutti delle campagne, e furono con ciò ammaestrati che in difetto di altri mezzi venuti loro a mancare, per non andar in totale decadimento bisognava rivolgersi alla coltivazione più diligente delle proprie terre. I poveri trovarono chi domandò e premiò l’opera loro, e per la operosità di questi, succeduta all’ozio cui erano condannati dapprima, crebbe notabilmente il benessere del paese. Chi vuol fare spassionato confronto tra lo stato in cui trovavasi il Trentino cinquant’anni addietro, e quello nel quale si trova [p. 6 modifica]al presente, è obbligato a confessare, che noi migliorammo d’assai, e che questo miglioramento è dovuto alla più diligente, e più ben regolata coltura delle campagne.

Sì, noi abbiam fatto nell’Agricoltura notabili progressi. Prove ne sono le molte paludi, e gli ampii terreni, che giacevano prima infruttuosi, ridotti a prati ed a campi; i fondi, che stavano da gran tempo negletti, al presente rinovati: gli acquedotti qua e là praticati; le spese enormi fatte per assicurarsi dai guasti che portavano fiumi e torrenti; l’uso della patata generalizzato; le numerose, e più regolari, e più diligentemente curate piantagioni di viti e di gelsi; le strade in molti luoghi migliorate; il numero de’ mendicanti ridotto a pochi più sventurati che inoperosi; i prezzi delle campagne aumentati d’un terzo e fin di due.

Ma sarebbe in inganno chi si desse a credere che poco più altro si possa fare, e che ciò che si fa sia tutto ben fatto. Ci rimangono ancora molti lavori, e maniere di coltivazione, cui pochi pongono mente, e in generale parlando la nostra Terrecoltura ha tali mancanze che impediscono dell’arte il progresso ed i vantaggi. Veggiamo ancora e rivi e torrenti cagionare grandi ruine, e portarsi via a poco a poco larghi tratti di terreno, e fin di colte campagne. Abbiamo vaste lande incolte, e terreni [p. 7 modifica]trascurati, che messi a coltura produrrebbero grano ed altri frutti in abbondanza. Si coltivano in poca quantità alberi da frutto, e piante ortensi (erbaggi) e invece di fare di varie sorti di eccellenti frutta utile smercio, ne facciam compera dai vicini.

Il gelso o la vite sono da alcuni coltivati, o piuttosto trascurati in guisa, che se ne ritrae il minimo utile possibile, o si coltivano in luoghi dove non è a sperare che paghino la spesa, ovvero dove si potrebbe ricavare da altri generi frutto più necessario e più abbondante. Le vie consortali, e fin le comunali, sono in più luoghi così male dirette e mal tenute, che ne viene ritardo notabile ai lavori nelle campagne, e perdita di grande quantità di terreno per li mostruosi loro giri e rigiri, e per li danni che debbonsi cagionare da chi vi passa o pedestre o con carri. Benchè siamo tra monti scarseggiamo di legname necessario ai moltiplici usi, perchè o non si approfitta de’ boschi dei privati e delle selve de’ Comuni, o profittandone si distrugge e non si ha cura di rinovare, e perché i tagli si fanno da interessati speculatori i quali, con danno del pubblico, vendono i legni agli estranei. Voi viaggiate per giorni interi senza vedere un Alveare; e noi potremmo e dovremmo averne a migliaja. Si conosce ancora poco la maniera di aumentare, perfezionare, ed usar con vantaggio i concimi, e là dove se n’ha [p. 8 modifica]scarsezza ignorasi da molti il modo onde poter supplirne il difetto. E chi vi è che, persuaso della necessità, e utilità grandissima de’ prati, procuri di averne in sufficiente quantità? La massima delle mancanze è questa. Finché non avremo buone praterie, e molto bestiame, e abbondanza di concime, non si potrà mai dire che tra noi prosperi l’Agricoltura. Fate pure piantagioni di viti, ingombrate pure le campagne con selve di gelsi; ma ove il terreno manchi di concime che lo fecondi, il frutto di questi e di quelle sarà sempre scarso, e vi mancherà il grano, e dovrete, invece di fare commercio attivo di bestiame, comperar care le carni.