Orgoglio e pregiudizio (1945)/Capitolo quinto
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Traduzione dall'inglese di Itala Castellini, Natalia Rosi (1945)
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A poca distanza da Longbourn abitava una famiglia con la quale i Bennet erano legati da particolare amicizia. Sir William Lucas aveva fatto una discreta fortuna nel commercio a Meryton, e per un discorso rivolto al Sovrano, nel periodo in cui era sindaco, era stato elevato all’onore della nobiltà. Onore che aveva mostrato di apprezzare anche troppo. Arrivato a questo punto, si era sentito in dovere di provare disgusto per gli affari, nonché per la vita in una piccola città commerciale. Così, aveva abbandonato gli uni e l’altra, trasferendosi con la famiglia in una casa a quasi un miglio da Meryton, che da allora fu detta Lucas Lodge, dove poteva compiacersi amabilmente della sua nuova e importante posizione, e, non più costretto dagli affari, dedicarsi soltanto al piacere di essere gentile con tutti. La soddisfazione della posizione raggiunta, lungi dal renderlo altero, lo spingeva a ostentare una grande cortesia verso ciascuno. Di carattere inoffensivo per natura, cordiale e compiacente, la presentazione a Corte lo aveva fatto diventare un modello di gentilezza.
Lady Lucas era una brava donna, di intelligenza piuttosto limitata, ma non per questo meno preziosa vicina per Mrs. Bennet. Avevano molti figli. La maggiore, di ventisette anni, una ragazza giudiziosa e intelligente, era intima amica di Elizabeth.
Niente di più naturale che le signorine Lucas e Bennet trovassero necessario incontrarsi dopo il ballo per scambiarsi le proprie impressioni; e la mattina dopo il ricevimento le Lucas andarono a Longbourn.
«Hai iniziato bene la serata, Charlotte», disse la signora Bennet con voluta amabilità. «Fosti la prima ad essere scelta da Mr. Bingley».
«Sì, ma poi lui diede indubbiamente prova di preferire la seconda».
«Vuoi alludere a Jane, perché ballò due volte con lei? Certo, mostrò apertamente la sua ammirazione; e pareva realmente sincero; ne era addirittura infatuato. Ho sentito dire qualcosa, non so di preciso di che cosa si trattasse... a proposito di Mr. Robinson...».
«Parli forse del discorso che ho sentito io per caso, tra lui e Mr. Robinson? Non ve l’ho raccontato? Mr. Robinson gli chiese se gli piacevano le nostre riunioni di Meryton e se non gli sembrava che ci fossero parecchie belle signore e signorine, chiedendogli quale fosse secondo lui la più graziosa. E lui, pronto, rispose immediatamente: “Oh, senza dubbio la maggiore delle signorine Bennet: è impossibile dare un giudizio diverso in proposito”».
«Dici davvero? Più esplicito di così... si direbbe quasi... ma può ancora finire tutto in nulla!».
«La conversazione che ho sentito io, invece, era ben diversa da quella sorpresa da te, Eliza», disse Charlotte. «Mr. Darcy è meno simpatico del suo amico, non ti pare? Povera Eliza, essere giudicata appena passabile!».
«Ti prego, non mettere in testa a Lizzy di essere seccata della sua scortesia; è un uomo talmente antipatico che sarebbe una disgrazia essere notate da lui. Mrs. Long mi disse che l’altra sera è rimasto vicino a lei per mezz’ora senza aprir bocca».
«Davvero? Non ci sarà dell’esagerazione? Ho veduto io Mr. Darcy che le parlava».
«Sì, quando lei si decise finalmente a chiedergli se Netherfield gli piaceva e lui non poté fare a meno di risponderle; ma pare che si mostrasse piuttosto infastidito dal fatto che gli venisse rivolta la parola».
«Miss Bingley mi ha detto», raccontò Jane, «che non parla mai molto, tranne con gli amici intimi, con i quali però è particolarmente cortese».
«Non posso crederlo. Se avesse avuto un minimo di gentilezza, avrebbe parlato con Mrs. Long. Ma mi figuro come saranno andate le cose; tutti dicono che è divorato dalla superbia, e certo avrà sentito dire che Mrs. Long non possiede una carrozza, e che era venuta al ballo in una vettura a noleggio».
«Il fatto che non abbia parlato con Mrs. Long», disse Miss Lucas, «per me non ha molta importanza, ma avrei voluto che avesse ballato con Eliza».
«Un’altra volta, Lizzy, se fossi in te», disse sua madre, «sarei io a non voler ballare con lui».
«Credo, mamma, di poterti assicurare che non ballerò mai con lui».
«Tuttavia», disse Miss Lucas, «il suo orgoglio non è così criticabile come in altri casi, perché ha qualche attenuante. Non fa meraviglia che un giovane intelligente, con un bel nome, ricco, al quale tutto arride ed è favorevole, abbia una grande opinione di sé. Direi quasi che ha un certo diritto di essere orgoglioso».
«È verissimo», rispose Elizabeth, «e potrei scusare facilmente il suo orgoglio, se non avesse ferito il mio».
«L’orgoglio», osservò Mary che teneva a dimostrare la profondità dei suoi pensieri, «è un difetto assai comune. Da tutto quello che ho letto, sono convinta che è assai frequente; che la natura umana vi è facilmente incline e che sono pochi quelli tra noi che non provano un certo compiacimento a proposito di qualche qualità — reale o immaginaria — che suppongono di possedere. Vanità e orgoglio sono ben diversi tra loro, anche se queste due parole vengono spesso usate nello stesso senso. Una persona può essere orgogliosa senza essere vanitosa. L’orgoglio si riferisce soprattutto a quello che pensiamo di noi stessi; la vanità a ciò che vorremmo che gli altri pensassero di noi».
«Se io fossi ricco come Mr. Darcy», esclamò uno dei piccoli Lucas che era venuto con le sue sorelle, «non starei tanto a badare al mio orgoglio. Terrei una muta di cani da caccia e berrei una bottiglia di vino al giorno». «Vorrebbe dire bere assai più del ragionevole», disse Mrs. Bennet, «e se io ti vedessi, ti toglierei la bottiglia».
Il ragazzo protestò che non sarebbe stata capace di far questo; la signora invece continuò a sostenere di sì; e la discussione si protrasse scherzosa per tutto il resto della visita.