Opere minori (Ariosto)/Poesie attribuite/Elegia II

Elegia II

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II.


     Poich’io non posso con mia man toccarte,
Nè dirti a bocca il dolor che mi accôra,
3Tel voglio noto far con penna e carte.
     Doglioso e mesto, pien d’affanni ogn’ora,
Meno mia vita afflitta e sconsolata
6Dal dì che, mal per me, tu andasti fuora.
     Chiamo la morte, e lei non viene, ingrata!
A finir il dolor ch’io porto e sento
9Per non poter saper la tua tornata.
     Tu festeggi in piacere, ed io tormento,
Privo di te, che notte e dì ti chiamo:
12Però di ritornar non esser lento.
     Tu m’hai pur preso come pesce all’amo,
Misero me! ch’io son condotto1 a tanto,
15Ch’altro che te non voglio, apprezzo e bramo.
     Tu vivi lieto, ed in me abbonda il pianto:

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Tu altri godi, ed io te sol aspetto:
18Di bianco vesti, ed io di negro ho il manto.
     Leva tal passïon del miser petto:
Non aspettar sentir mia crudel morte;
21Chè crudeltade il ciel tiene in dispetto.
     Qualunque batte a la mìa casa o porta,
Súbito corro e dico: — Forse è il messo
24Che del mio fino amor nuova mi porta. —
     La notte, in sogno, teco parlo spesso:
Questo è quel che mi consuma il côre;
27Quando mi sveglio non ti trovo appresso.
     Io piango i giorni, i mesi, i punti e l’ore
Che ti partisti, e non dicesti — Vale. —
30Misero, oimè, per te vivo in dolore!
     Amor crudel con suo pungente strale
M’ha fatto sì, che sole, ombra non veggio,
33Rimedio alcun non trovo al mio gran male:
     E tu, crudel, sarai cagion ch’io ’l veggio.




Note

  1. Questo amoroso lamento non pare scritto per una donna, nè a nome di una donna; e per questa cagione ancora non può giudicarsi fattura del buon Lodovico. Scorretta è certamente la chiusa, ove trovasi ripetuto, e senza dare alcun senso, il verbo veggio: ma il Barotti non a torto scriveva che queste composizioni «non meritano che s’impieghi un solo momento in emendarle.»