Opere minori (Ariosto)/Elegie e Capitoli/Elegia VIII
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ELEGIA OTTAVA.
1Qual son, qual sempre fui, tal esser voglio,
Alto o basso fortuna che mi rôte,
3O siami Amor benigno o m’usi orgoglio.
Io son di vera fede immobil cote,
Che ’l vento indarno, indarno influsso alterno
6Del pelago d’Amor sempre percôte.
Nè giammai per bonaccia nè per verno,
Di là dove il destin mi fermò prima,
9Luogo mutai nè muterò in eterno.
Vedrò prima salir verso la cima
Dell’alpi i fiumi, e s’aprirà il diamante
12Con legno o piombo, e non con altra lima;
Che possa il mio destin môver le piante,
Se non per gire a voi; che possa ingrato
15Sdegno d’amor rompermi il côr costante.
A voi di me tutto il dominio ho dato:
So ben che della mia non fu mai fede
18Miglior giurata in alcun nôvo stato.
E forse avete più ch’altri non crede;
Quando nel mondo il più sicuro regno
21Di questo, re nè imperator possiede.
Quel ch’io v’ho dato, anco difeso tegno:
Per questo voi nè d’assoldar persona
24Nè di riparo avete a far disegno.
Nessuno, o che m’assalti,2 o che mi pona
Insidie, mai mi troverà sprovvista;
27O mai d’avermi vinta avrà corona.
Oro non già, che i vili animi acquista,
Mi acquisterà; nè scettro, nè grandezza,
30Ch’al volgo sciocco abbagliar suol la vista;
Nè cosa che muova animo a vaghezza,
In me potrà mai più far quella pruova
33Che ci fe il valor vostro e la bellezza.
Sì ogni vostra maniera si ritrova
Scolpita nel mio cor, ch’indi rimossa
36Esser non può per altra forma nuova.
Di cera essa non è, che se ne possa
Formar quand’uno e quand’altro suggello,
39Nè cede ad ogni minima percossa.
Amor lo sa, che all’intagliar di quello
Nell’idol vostro, non ne levò scaglia.
42Se non con cento colpi di martello.
D’avorio e marmo e d’altro che s’intaglia
Difficilmente, fatta una figura,
45Arte non è che tramutar più vaglia.
Il mio cor dì materia anco più dura,
Può temer chi l’uccida o lo disfaccia;
48Ma non può già temer che sia scultura
D’Amor che in altra immagine lo faccia.