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228 | elegia ottava. |
21Di questo, re nè imperator possiede.
Quel ch’io v’ho dato, anco difeso tegno:
Per questo voi nè d’assoldar persona
24Nè di riparo avete a far disegno.
Nessuno, o che m’assalti,1 o che mi pona
Insidie, mai mi troverà sprovvista;
27O mai d’avermi vinta avrà corona.
Oro non già, che i vili animi acquista,
Mi acquisterà; nè scettro, nè grandezza,
30Ch’al volgo sciocco abbagliar suol la vista;
Nè cosa che muova animo a vaghezza,
In me potrà mai più far quella pruova
33Che ci fe il valor vostro e la bellezza.
Sì ogni vostra maniera si ritrova
Scolpita nel mio cor, ch’indi rimossa
36Esser non può per altra forma nuova.
Di cera essa non è, che se ne possa
Formar quand’uno e quand’altro suggello,
39Nè cede ad ogni minima percossa.
Amor lo sa, che all’intagliar di quello
Nell’idol vostro, non ne levò scaglia.
42Se non con cento colpi di martello.
D’avorio e marmo e d’altro che s’intaglia
Difficilmente, fatta una figura,
45Arte non è che tramutar più vaglia.
Il mio cor dì materia anco più dura,
Può temer chi l’uccida o lo disfaccia;
48Ma non può già temer che sia scultura
D’Amor che in altra immagine lo faccia.
- ↑ Seguitiamo noi pure la lezione prescelta dal Rolli, dal Pezzana e dal Molini, avendo il Barotti e le più antiche: m’esalti.