Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova/II
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DEDALO
ED
ICARO
gruppo in marmo
II.
Tremò nell’atto
La man paterna, e un improvviso pianto
Scese inondando le senili gote.
Così l’immaginoso Cantor di Sulmona ci dipinge Dedalo, quell’industre Ateniese che acciecato da rea invidia per Perdicca suo nipote, avendolo ucciso, fu dal Senato d’Atene cacciato in bando. Dedalo rifuggì in Creta, ove quel Re amollo di sì crudo amore, che gli vietò di uscir più dal suo regno. Il fatal decreto eccitò quel forte Ingegno, a cui erano tolte tutte le vie usitate di uscire, a tentare la via inusitata dell’aria, applicando a sè stesso ed al figlio suo, a guisa dei volanti uccelli, forti penne sul tergo. Nell’atto appunto di assettare ad Icaro le piume ce lo rappresenta l’immortale Scultor di Possagno. Mentre il padre appoggia l’ala al destro braccio del figlio, s’inchina alquanto per innanzi alla di lui sinistra, onde osservare se quel punto sia bene scelto, se ivi debba veramente attaccarla. L’attenzione la più scrupolosa, l’inquietudine la più viva, il più tristo presentimento gli si dipingono a gara sul volto; e fors’anche in quel momento, l’importuna memoria del suo passato delitto, risvegliando il suo rimorso, accresce l’angoscia sua. Grida in noi sempre una colpevole coscienza, e viepiù allora col terribile suo grido ci atterrisce ove si tratti di commettere noi stessi, o chi più di noi stessi c’è caro, ad incerto e pericoloso destino. Il giovinetto Icaro intanto, lieto dell’inusitato viaggio che sta per intraprendere, rivolge verso la propria spalla la testa, e guardando con fanciullesco sorriso il lavoro del padre, e nulla curando i di lui saggi avvisi, dimostra tutta l’impazienza di vederlo compiuto. Un piedino, ch’egli tiene alquanto sollevato da terra, come se già già l’ali lo inalzassero, c’insegna quanto il vivo desiderio dell’animo si spande sopra tutte le nostre membra, e dello stesso desiderio fortemente le investe. Dedalo è grave della persona sua sopra la terra, come quello che ha gravato l’animo da cordoglio.
Questo gruppo, non ispoglio certamente di molto merito, ma oscurato poscia dal fulgido lume dei suoi successivi fratelli, e queste ali medesime, tuttochè mal atte a sostenere l’imprudente figliuolo di Dedalo, parvero pure un felice presagio all’accorto Senato di Venezia. Da questo medesimo lavoro egli riconobbe che la bella Fama di Canova vestirebbe sul Tebro penne più ferme, ed a più eccelso e sicuro volo destinate; ed a Roma con felice e coronato augurio inviollo.