Opere di Raimondo Montecuccoli/Considerazione VII
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Considerazione su la Disciplina
I. Se in tutte quasi le parti della guerra gli scritti del Montecuccoli sono pieni e profondi, ove sopra tutto si riguardi all’età, scarsi nondimeno parranno e superficiali quanto alla disciplina, che pur è la ragione intrinseca ed universale della virtù degli eserciti, e della prosperità degli Stati.
Appena l’autore ne tratta sommariamente negli Aforismi e ne’ Comentarj102; e le leggi ch’egli prescrive nell’ultima Tavola del Sistema, benché forse ei s’intendesse di tracciare le fondamenta di uno statuto criminale di guerra, mi sembrano sì deformi nell’ordine e sì rigide nel diritto, che senza frutto sarebbero prescritte da’ principi ed imitate da’ capitani. Tornerebbero anzi di danno agli eserciti, da che l’autorità di tant’uomo confermerebbe nella loro imprudente severità quegli ufficiali comandanti i quali credendo che la paura sia l’unica forza motrice del cuore umano, riducono tutta la disciplina militare alle verghe, alla catena e alla scure.
II. Due discolpe giovano al Montecuccoli. Primieramente ei seguiva, come professa egli stesso, gli statuti di guerra dell’età sua; ed erano severissimi, sì perché doveano necessariamente conformarsi alla inumanità delle leggi criminali di que’ tempi, sì perché si radunavano eserciti di mercenarj che vendeano la vita e la libertà; ed a’ quali mancando l’amor della patria e le ragioni del pudore, unico freno restava la carcere ed il carnefice104. L’altra discolpa si è, che egli condusse in campo aperto, in ardui frangenti, e per lunghe stagioni, felicemente la guerra; né senza la disciplina avrebbe potuto mai guerreggiare né vincere: or se quella ch’ei praticava gli tornò utile negli effetti, ogni opposizione, e fosse pur ragionevole, cadrebbe da sé; e la splendida teoria de’ filosofi saria smentita dalla cieca pratica de’ militari, come in tutte le arti avviene assai volte, e avverrà .
III. Cangiarono i tempi: la legislazione criminale assumendo principj più equi, e meno barbara procedura, influì nella giustizia militare; e la coscrizione che aggregò tutti i cittadini agli eserciti, rattempra gli usi e le leggi della disciplina tra noi. La disciplina ripartesi per sé stessa in correzionale e penale: si l’una che l’altra hanno bisogno di codice; e fino ad ora non abbiamo che regolamenti. La massima parte de’ castighi riducesi alla sala di disciplina: ed io vidi per esperienza che questa pratica nel correggere i falli suole educare spesso le colpe. Una parte degli arrestati è quasi sempre d’indisciplinati recidivi, i quali con perpetua vicenda passano dalla prigione al quartiere, e dal quartiere alla prigione. Ogni reggimento avendo una sola sala di disciplina, vi si radunano tanto i colpevoli d’ignoranza e d’errore, quanto quelli di perversa abitudine. I pochi nuovi e d’animo ingenuo cominciano su le prime a pentirsi de’ falli; ma guasti poi da gli altri già rotti nell’impudenza e nel castigo, trovano anzi nello squallore della carcere molti fomiti all’ozio, al giuoco e all’oscenità. Nelle prigioni stesse sorge la tirannide: il più tristo è creato presidente e decano; sostenuto dagli altri suoi pari, esige tasse da’ nuovi carcerati, e complicità dagli antichi che sono o più paurosi o più deboli. La prigionia è salutare castigo quand’è accresciuta dalla solitudine;