Gabriello Chiabrera

Indice:Opere (Chiabrera).djvu Teatro Vegghia delle Grazie Intestazione 4 febbraio 2024 75% Da definire

Il rapimento di Cefalo Alcippo
Questo testo fa parte della raccolta Opere di Gabriello Chiabrera

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VEGGHIA DELLE GRAZIE


PROLOGO

L’occasione, ed il soggetto è così fatto: Amore infermo è preso a ricrearsi dalle Grazie con una Vegghia, e per invitare a così nobile festa mortali ed immortali, Iride ne va parlando per l’universo. Di qui le ninfe di Pomona lasciate le campagne s’inviano colà, ed i Numi di Silvano dolenti per non le vedere nell’usate foreste, sono dalla Fama informati, perchè elle siano partite, e si consigliano di raggiungerle per via; essi così fanno; e raggiuntele vanno danzando alla Vegghia. Ciò fassi da sei dame, e sei cavalieri in maschera convenevole a personaggi rappresentati. Fornito poscia il loro ballo, si danza nella sala senza maschere, e la danza è partita da due intermedj.


IRIDE.

Amor d’altrui ferir non mai pentito
     I suoi dardi a provar volse il pensiero,
     Ed un di quelli, ond’è più forte arciero,
     Gli punse alquanto, e sanguinògli il dito;
     Ei forte lagrimò sulle sue pene;
     Ch’alma nuova al dolor male il sostiene.
Idalia pronta, e con materno affetto
     In lui tempra il dolor, ch’aspro s’avanza;
     Ma l’alme Grazie d’ammirabil danza
     Prendono a procacciargli almo diletto,
     E dolce a ricreargli i sensi afflitti
     Nell’alto albergo, e nel real de’ Pitti.
Alme leggiadre, che d’amore al foco
     Desiate affinar vostri desiri,
     E di lui sotto al giogo aspri martiri
     Un lieto sguardo vi rivolge in gioco;
     Gite a colà bearvi, ove soggiorna
     Somma beltà che l’universo adorna.
Neve, che Borea sparga in gioghi alpini,
     Rosa, che in bello aprile Alba colori,
     Oro, che sotto il Sol vibri splendori,
     Perde co’ volti, con la man, coi crini,
     Ma col lampo degli occhi, in ciel sereno
     Febo, che ’n alto ascenda anco vien meno.
La Fama parla a’ cavalieri mascherati.
Non turbate le ciglia,
     Nè contristate il petto, o delle selvelu
     Pregiati abitatori, ed a Silvano
     Carissima famiglia;
     Le sospirate ninfe
     Dell’immortal Pomona
     Volsero a queste piaggie il pie leggiero,
     Vaghe di gir colà, dove sull’Arno
     Oggi fassi ad Amore
     Per l’alme Grazie d’ammirabil danza
     Un non usato onore;
     Movete i passi a ritrovar per via
     La bramata sembianza; ecco apparirle;
     Ormai porgete al bello avorio, e biance
     Di quelle nude man le vostre destre,
     Fortunato sostegno
     Per l’alto calle all’affannato fianco;
     lo moverò d’intorno, e farò conta
     La peregrina festa,
     Che dalle belle Grazie
     Al bello Amor s’appresta.
(Qui i cavalieri mascherati pigliano le dame mascherate per mano e ballano.)

INTERMEDIO PRIMO

Fassi dalla Gelosia, e dagli Amori.

Gel. Fra vaghi balli, e canti
     Nella regia Tirrena
     Godono con Amor notte serena
     L’alme di mille amanti,
     Ed io sempre di pianti,
     E ministra d’affanni
     Oggi con esso lor sarò men ria?
     Io di serpenti armata,
     Io cruda, io dispietata,
     Terribil Gelosia?
E pur troppo ho sofferto,
     Il caro varco aperto
     A così gran gioire
     Con la mia forza si rinchiuda omai;
     Non fia, non fia per certo;
     lo seguirò mio stile;
     Ov’è valor, la sofferenza è vile;
     E facciansi i diletti
     Nel fondo de’ lor petti
     Un’Oceán di guai.
     I begli occhi lucenti
     Non mai vibrino raggio,

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     Che con freddo timor non faccia oltraggio,
     Ai cor per loro ardenti;
     Ombre, larve, spaventi,
     Bestemmiati pensieri
     Le dolcezze d’Amor rendano amare;
     Siano l’alme amorose,
     Ma ch’a sè stesse odiose
     Si pentano d’amare.
Am. Esecrabil sembianza,
     Che con occhi profondi, e guardi fosehi
     Qui d’ogni intorno attoschi,
     Chi sei tu? fra queste aure,
     Ed al bel ciel superno
     Oggi chi sa spirarti
     Simulacro d’inferno?
Gel. Perchè contra di me tanto dispregio
     Vil plebe pargoletta?
     Qual io mi sia, d’Amor son rea nemica,
     E Gelosia son detta:
     Ecco la fiera, ecco la cruda,
     Chi le trafigge il cor? chi la saetta?
Qui cantano tutti gli Amori in concerto.
     Non mai ritorni
     L’orribil mostro,
     Ove soggiorni
     Il signor nostro;
     Certo non siamo arcier di piccol gloria
     Se innalziamo trofeo di tal vittoria.
     A messe bionda
     È l’ombra infesta;
     A nave l’onda,
     Se mai tempesta;
     Ma degli amanti le dolcezze strugge
     Questa peste crudel, ch’ora sen fugge.
     Liete danzate
     Alme amorose,
     Ne paventate
     Frodi gelose,
     Giusto è sperar d’ogni tempesta il porto
     Or ch’al duolo d’Amor dassi conforto.

INTERMEDIO SECONDO

Fatto dalla Speranza e da Mercurio.

Sper. Degli Dei messaggiero
     Ove ne vai veloce? i passi arresta,
     E degna di tua scorta il mio sentiero.
Mer. O gentile, o leggiadra
     O bella, in cui s’avanza
     Il fior d’ogni conforto, ed a ciascune
     Carissima Speranza,
     Seorta ricerchi in van, mandami Giove
     Al regnator de’ venti acciocchè spiani
     L’onde nel mare a’ cavalier toscani:
     Ma tu dove t’invii?
     Che cerchi? e che desii?
Sper. Cerco d’Amor; già Citerea contommi,
     Ch’omai tutti i mortali
     Disperavano vita, ove eran punti
     Dagli amorosi strali,
     Cotanto era crudel la lor ferita;
     Io con lunga vigilia
     Ho temprato un liquore
     Che bagnandone i dardi
     Non farà più mortal piaga d’Amore.
Mer. Mirabile maestra
     E di fare amor giocondo,
     E di ben confortar chi s’innamora,
     Odi dove dimora.
     Va nella bella Italia, ove il bell’Arno
     Bagna l’alma città, che nome ha Flora;
     Colà sorge palagio,
     Palagio non d’Armida,
     Non d’Alcina, o d’Atlante,
     Ma ben palagio a quei del ciel sembiante,
     Ivi dentro gioisce
     Amore in danza, che le Grazie ordiro,
     E fa nei cori altrui mirabil prove
     Con forza di bellezza
     Non più veduta altrove.
Sper. Io me ne vo volando; addio, rimanti.
Mer. O ben felici amanti, ora ch’amore
     Con la faretra sua darà ferita,
     Onde giojoso pregerassi un core, Y
     Nè morte soffrirà, che non sia vita.
     Adunque, egri mortali, un aureo crine,
     E labbra a rimirar di lucidi ostri,
     E guance sparse di rosate brine,
     E sieno occhi sereni idoli vostri.
Iride dà fine alla festa.
Le ricche spoglie, ed i gemmati fregi,
     E per industre mano
     Gli strani a rimirarsi abiti egregi,
     Ei passi or lenti, or presti
     Furo quasi a mirar cose celesti.
     Ebbero ogni possanza, ebber ventura
     Di far giocondo Amore,
     Ed a lui serenâr la mente oscura;
     Ma suprema dolcezza
     Gli sparse, o donne, in cor vostra bellezza:
     Rise a’ vostri sorrisi, onde gioire
     Sogliono in aria i venti,
     E del crudo Oceán placarsi l’ire,
     E nelle luci accese
     Del vostro sguardo ad esser lieto apprese.
Or di sì cara notte unqua l’obblio
     Non porterà vittoria,
     Ch’a sua difesa è per amarsi Clio;
     Ed anco Amore istesso
     Vuol dar di ben gradirla un segno espresso!
Ovunque chiameran per altra etate
     Belle arpi, e belle cetre
     A belle danze femminil beltate,
     Egli verranne a volo
     Soggiogatore altrui senza dar duolo.
     Tenderà l’arco, ma piagando un petto
     Farà della ferita
     Vivace fonte d’immortal diletto;
     Non cesserà gli ardori
     Ma fia sno foco refrigerio a’ cori.