Opere (Lorenzo de' Medici)/XVII. Rime varie o di dubbia autenticitá/V. Canzoni a ballo/Canzone VIII.

VIII. [Precetti galanti]

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[Precetti galanti]


     Io vi vo’, donne, insegnare
come voi dobbiate fare.
     Quando agli uomin vi mostrate,
fate d’esser sempre acconce,
benché certe son piú grate,
quando altrui le vede sconce.
Non si vuol colle bigonce
porsi il liscio, ma pian piano;
quando scorre un po’ la mano,
una cosa schifa pare.
     Fate pur che intorno a’ letti
non sien, donne, mai trovati
vostre ampolle e bossoletti,
ma tenetegli serrati.
I capei ben pettinati,
se son biondi, me ne giova,
ché non paia fatto in prova
di vedergli un po’ sconciare.
     State pur sempre pulite,
io non dico giá strebbiate;
sempre il brutto ricoprite;
ricci e gale sempre usate.
Vuolsi ben che conosciate
quel che al viso si conviene,
ché tal cosa a te sta bene,
che a quell’altra ne dispare.
     Ingegnatevi star liete
con be’ modi ed avvenenti;
volentier sempre ridete
pur che abbiate netti i denti;

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ma nel rider certi accenti
gentileschi usate sempre,
certi tócchi e certe tempre
da far altri sgretolare.
     Imparate i giuochi tutti,
carte, dadi, scacchi e tavole,
perché fanno di gran frutti,
canzonette, versi e favole.
Ho veduto ancor di quelle
che pel canto paion belle;
ho veduto ancor di quelle
che ognun l’ama pel ballare.
     Il sonar qualche istrumento
par che accresca anco bellezza;
vuolsi al primo darvi drento,
perché l’è piú gentilezza.
Molto veggo che s’apprezza
una donna c’ha il piacevole;
io per me queste sazievole
non le posso comportare.
     Le saccenti e le leziose
a vederle par ch’io muoia;
le fantastiche ed ombrose
piú non posso averle a noia.
Ad ognun date la soia,
ad ognun fate piacere,
chéFonte/commento: Edimburgo, 1912 ’l saper ben trattenere
sempre stette per giovare.
     Non mi piace chi sta cheta,
né chi sempre mai cinguetta,
né chi tien gli occhi a dieta,
né chi qua e lá civetta.
Sopra tutte mi saetta
quella ch’usa qualche motto,
che vi sia mistero sotto,
ch’io lo sappia interpretare.

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     Se tu vai, stai o siedi,
fa’ d’aver sempre maniera:
muover dita, ciglia e piedi
vuolsi sempre alla smanziera,
fare a tutti buona cera;
fa’ che mai disdica posta,
ma di quel che non ti costa
fanne ognun contento andare.
     Fátti sempre partigiani,
dove sei, fino alle gatte,
fino a’ topi e fino a’ cani.
Non far mai volentier natte:
lascia farle a certe matte.
Abbi sempre una fidata,
che ti sappia una imbasciata,
una lettera portare.
     Fuggi tutti questi pazzi,
fuggi, fuggi gli smanzieri:
fa’ la casa te ne spazzi,
non ber mai ne’ lor bicchieri;
oggi quivi e colá ieri
n’hanno ad ogni stringa un paio;
l’asinin del pentolaio;
fanno i santi anche rubare.
     Pigliate uomin, ch’abbian senno
e che sien discreti e pratichi,
e che intendano ad un cenno
e non sian punto salvatichi,
com’io veggo tai lunatichi,
muffaticci, goffi e rozzi,
certi ignaffi, certi ghiozzi,
buoni appunto a sbavigliare.
     Vuolsi ancor l’industria mettere
nello scriver bene e presto,
e ’n saper contraffar lettere,
che la cosa vada a sesto.

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Sará forse anche buon questo
che v’insegni un certo inchiostro,
che fia proprio al caso vostro,
se ’l vorrete adoperare.
     Nello scriver fia piú destra,
sí che ’l giuoco netto vada:
chi è pratica e maestra
tiene un po’ il brigante a bada,
ché non paia che alla strada
la si getti al primo tratto,
poi conchiuder pur affatto
sanza troppo dondolare.
     Sopra tutto ti sia a mente
d’andar sempre ad ogni festa
bene in punto fra la gente,
perché quivi amor si desta.
Se qualcuno il piè ti pesta,
non dá briga, sta’ pur soda:
chi ti serve, onora o loda
si vuol sempre accarezzare.
     È ben buono a dar la salda
qualche po’ di gelosia,
e una fredda ed una calda
fa che Amor non si disvia.
Non dir piú, canzona mia,
che le son cattive troppo;
orsú il mio cavallo è zoppo
e non può piú camminare.