O dea dolce amorosa

Tommaso Crudeli

XVIII secolo Canzoni Letteratura O dea dolce amorosa Intestazione 3 agosto 2014 75% Da definire

Canzone


O dea dolce amorosa,
che di soave ardore
infiammi il cielo e ‘l primo amante accendi,
e fatta all’om graziosa,
5togli al divin furore
l’armi di mano e più benigno il rendi:
sallo il cielo, ove attendi
colla celeste face
a riscaldare i petti
10degl’almi spirti eletti,
portando ovunque vai concordia e pace;
sassel la bassa terra,
che uscì per te da così lunga guerra.

Tu primiera rompesti
15l’infrangibil diamante
che le porte del ciel chiuse tenea;
che dai cori celesti
qui d’amore avvampante
scendesse un dio, fu tua grand’opra, o dea!
20Dell’irritata Astrea
nel ciel forte guerriero,
tu puoi sola addolcire
i giusti sdegni e l’ire,
e renderla men rigida e severa;
25te or, Pietà, vorrei,
che del divino cuor regina sei.

Lascia dunque del polo
l’eterne sfere ardenti,
sedi beate all’alme elette e sante,
30e là dirizza il volo
dove l’onde correnti
rivolge il Nilo rapido e sonante;
qui della fede Atlante,
Marco il campione invitto,
35dolce cura e consiglio
dell’increato figlio,
da mille strali, ohimè, cadrà trafitto,
se tu, bella Pietade,
non ti opponi al furor di mille spade.

40Ovunque il passo stende
il generoso figlio,
l’empia turba crudel li segna l’orme:
son di lei meno orrende
nel lor feroce artiglio
45le tigri infurïate e l’orso informe.
Già freddo e pigro dorme
quel suo leon guerriero,
ed il vigor natio
tutto posto in oblio
50non è qual pria sì minacciante e fiero,
onde potranno gli empi
far di lui senza tema acerbi scempi.

Se a te l’eterna mente
ha concesso il governo
55de’ petti umani e l’amoroso impero,
tempra l’impeto ardente,
e nel rabbioso interno
di questa turba rea placa il pensiero;
che qual torrente altero
60accresciuto dall’onde,
fremente e minaccioso
sen va precipitoso
e seco trae alberi, armenti e sponde,
e già sul capo augusto
65del grand’eroe trabocca il flutto ingiusto.

Ahimè, figlia d’amore,
sagrosanta Pietade,
qual è questa che io veggio orrida scena?
Marco, il nobil pastore,
70ecco che appresso cade,
né turba il ciel la luce sua serena?
Ahimè, che larga vena
dall’impiagato busto,
che tramortito langue,
75scorre di nobil sangue
a far porporeggiar quel lido adusto!
Ahimè, che il sacro manto
rosseggia anch’egli lacero ed infranto!

Ma trovi il cieco orgoglio
80i più nuovi tormenti
ch’abbia il regno dell’odio e della sorte;
e tu fatti di scoglio,
Pietade, a’ miei lamenti,
tinta nel volto di pallor di morte:
85che il magnanimo e forte
eroe, di pura fede
il cuor cinto e ricinto,
in sul cadere estinto,
né pur s’ode gridar mercé, mercede;
90o morte sì gradita
altro per lui non è che nuova vita.

Non così dolce il cigno
in su l’erbose sponde
del bel Meandro sospirando muore,
95e il ciel gode benigno
alla sua morte e l’onde
esultano alle sue voci canore:
com’or colma d’ardore,
intrepida e ridente,
100di Marco la grand’alma
lascia la fragil salma,
e ‘l ciel gl’applaude in nuova luce ardente;
e già con l’ali d’oro
scende dal ciel de’ Serafini il coro.

105- Ecco che a te ne vegno,
o sommo re del cielo -
d’Alessandria in morir dice il pastore;
- abbiasi il basso regno
il mio terrestre velo,
110l’alma sen torni al primo suo fattore;
e tu, celeste amore,
che a me dal ciel discendi,
saettator fornito
d’alto fuoco infinito,
115con che ogni duro giel spezzi ed accendi,
infiamma i freddi cuori
degl’ingannati miei folli uccisori -.

Canzon che or mesta piangi, or lieta canti,
va’ per queste contrade
120e in flebil suon pietà, grida, pietade.