Novellino/LXXXII
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Una figliuola d’un grande varvassore sì amò Lancialot del Lac oltre misura; ma elli non le volle donare suo amore imperciò ch’elli l’avea donato alla reina Ginevra. Tanto amò costei Lancialotto, ch’ella ne venne alla morte e comandò che, quando sua anima fosse partita dal corpo, che fosse arredata una ricca navicella coperta d’uno vermiglio sciamito, con uno ricco letto iv’entro con ricche e nobili coverture di seta, ornato di ricche pietre preziose: e fosse il suo corpo messo in su questo letto, vestita di suoi piue nobili vestimenti e con bella corona in capo, ricca di molto oro e di molte care pietre, e con ricca cintura e borsa; e in quella borsa avea una lettera, che era dello ’nfrascritto tenore. Ma imprima diciamo di ciò che v’ha innanzi la lettera.
La damigella morì di mal d’amore, e fu fatto ciò ch’ella avea detto della navicella: sanza vela e sanza remi e sanza neuno soprasagliente fue messa la detta nave colla donna in mare. Il mare la guidò infino a Camelot. Alla riva ristette. Il grido fu per la corte. I cavalieri e ’ baroni dismontarono de’ palazzi, e lo nobile re Artù vi venne: e maravigliavasi forte ch’era sanza niuna guida. Il re entrò dentro: vide la damigella e l’arnese. Fe’ aprire la borsa; trovaro quella lettera; fecela leggere, e dicea così:
«A tutti i cavalieri della Tavola Ritonda manda salute questa damigella di Scalot, sì come alla migliore gente del mondo.
E se voi volete sapere perch’io a mia fine sono venuta, si è per lo migliore cavaliere del mondo e per lo più villano, cioè monsignore messer Lancialotto del Lac: ché già no ’l seppi tanto pregare d’amore ch’elli avesse di me mercede. E così, lassa, sono morta per ben amare, come voi potete vedere».