Novellette e racconti/XVII. Irriflessione abituale di un servo

XVII.
Irriflessione abituale di un servo

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Irriflessione abituale di un servo
XVI. Ammirabile fedeltà di un cane XVIII. Maniera con cui fu convertito un ricco crudele verso i suoi simili
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Irriflessione abituale di un servo.


Ho ricevuto una polizza da un uomo dabbene che non so chi sia: la polizza è di questo tenore:

«Ho licenziato un servo; ma perchè lo conosco puntuale e amoroso al padrone, rendo conto delle cagioni che m’hanno mosso a licenziarlo; pregato da lui di farle pubblicare nel foglio della gazzetta, acciocchè non si pensi male della sua fedeltà. Dilettandomi di caccia, lo condussi meco: sbuca una lepre, i cani la inseguono, ed egli dietro a’ cani ed alla lepre: questa s’intana in una buca; egli, senza altro pensare, ficca il capo dentro e non lo può più trar fuori: mi convenne trovar villani che con zappe e vanghe gittassero via terra e sassi per cavamelo fuori mezzo affogato. Volendo un giorno levarmi alle ore dodici, gli dissi che mi svegliasse. Io era stanco e affaticato la sera; comincio a dormire: odo un gran bussare alla porta; grido: Chi è là? Son io, risponde. È ora, diss’io? Non signore; [p. 29 modifica]ma vengo ad avvisarla che può dormire due ore ancora comodamente, perchè appunto sono sonate in questo momento le dieci. Gli dico un dì che mi svegli all’alba, entra in camera con la candela accesa; apre la finestra; gli domando Spunta l’alba? Ora me ne accerterò, risponde; e mette fuori del balcone il viso e guarda; poi dice: Ancora è bujo: piglia la candela e guarda verso levante, per vedere con più diligenza. Innumerabili sono le volte che scalzandomi la sera, mentre ch’io andava a letto, si addormentava, trattami la prima calza sola: e infinite quelle che si presentava alla compagnia per versare il caffè sulla guantiera senza le chicchere. Finalmente giungendo io a casa poche sere fa e picchiando, me lo vidi a comparire innanzi tutto scorticato e insanguinato la faccia; domando: Che è stato? egli tace e brontola, e mi vien detto che, picchiando io, abbajando il cane di casa e chiamandolo gli altri servi, si levò, accese la torcia e si mosse con tanta furia che non accortosi di una porta di lastre serrata, ma parendogli le lastre aria, v’infilzò dentro la lesta e si conciò a quel modo. Per non vedere altri spettacoli gli diedi licenza. Per altro a chiunque lo volesse, fo una pubblica fede ch’egli è puntuale, che mai non risponde, e che dal risico in fuori di scavezzarsi un dì il collo o di rovinare in qualche altra forma sè medesimo, non ha altri difetti.»