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28 novella xvii.

drone, parte mirandolo fiso, parte gemendo, e talora con gli occhi dalle lagrime inumiditi. Fu il corpo portato a sotterrare, e il cane ritenuto. La moglie venne condotta via da’ parenti di lei, e sta con essi. Il cane però non ha voluto seguirla; ma da dieci giorni in qua sta nella stanza del suo morto padrone, solitario e malinconico; e quando vuol uscire, graffia un pochetto, e gli viene aperto da certe donnicciole della strada ove abita. I vicini che sanno quanta sia la sua fedeltà, gli buttano dalle finestre pane e ossami, e l’hanno provveduto di acqua in casa. Egli mangia un pochetto di mala voglia una volta al dì, poi rientra, e non si lascia più vedere fino al vegnente giorno, gittando di tempo in tempo acutissimi urli. Intanto la moglie è passata per via più volte nè allegra nè malinconica: sarà bello l’osservare se cesserà prima il dolore alla vedova o al cane.


XVII.


Irriflessione abituale di un servo.


Ho ricevuto una polizza da un uomo dabbene che non so chi sia: la polizza è di questo tenore:

«Ho licenziato un servo; ma perchè lo conosco puntuale e amoroso al padrone, rendo conto delle cagioni che m’hanno mosso a licenziarlo; pregato da lui di farle pubblicare nel foglio della gazzetta, acciocchè non si pensi male della sua fedeltà. Dilettandomi di caccia, lo condussi meco: sbuca una lepre, i cani la inseguono, ed egli dietro a’ cani ed alla lepre: questa s’intana in una buca; egli, senza altro pensare, ficca il capo dentro e non lo può più trar fuori: mi convenne trovar villani che con zappe e vanghe gittassero via terra e sassi per cavamelo fuori mezzo affogato. Volendo un giorno levarmi alle ore dodici, gli dissi che mi svegliasse. Io era stanco e affaticato la sera; comincio a dormire: odo un gran bussare alla porta; grido: Chi è là? Son io, risponde. È ora, diss’io? Non signore;