Novellette e racconti/XL. Aneddoto di un Pittore stravagante

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Aneddoto di un Pittore stravagante

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Aneddoto di un Pittore stravagante
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Aneddoto di un Pittore stravagante.


I pittori hanno sempre dello strano e del fantastico. Chi nol sapesse quasi per proverbio, legga le Vite del Vasari, quelle che scrisse il Ridolfi e altre siffatte che ne sono molte, e vedrà se io dico il vero. Guido Reno, celebratissimo pittore quanto ognun sa, giuocava a carte disperatamente. Pentitosi di ciò, raccolse non so quante migliaja di scudi, e volea investirli in terreni. Un giorno non si potè più ritenere, e gl’investì sopra un tavolino alla bassetta, per modo che non gli rimase un quattrino. Non fu mai veduto a ridere tanto saporitamente quanto quel giorno; anzi provava con argomenti che avea fatto benissimo; che difficilmente avrebbe trovato fondi sicuri; che sarebbe stato alle mani con villani; che avrebbe avuto spavento delle gragnuole e di altre calamità. Il Tintoretto usciva di casa con una lunga veste, e quando era piovuto, non curandosi mai di rialzarla, di sotto la orlava di fango quanto potea. La moglie era disperata, e gli dicea: Vedi qua; prendila così, alzala a questo modo, e massime quando tu sali sui ponti o scendi da quelli, avverti a quello che fai: tu vieni sì imbrodolato, che sembri rinvolto nel pantano. Il buon uomo impacciato, e voglioso di seguire le ammonizioni della moglie, esce di casa, che il fango era alto un dito; e salendo i ponti, si tien su di dietro, e quando gli scende, alza i panni dinanzi; onde se mai fu imbrodolato, fu quella volta. Tali sono i pittoreschi cervelli.

[p. 68 modifica]È avvenuto a questi dì un caso che sempre più lo manifesta, ed è questo. Un certo legnajuolo che lavora in casse, avea bisogno di farne dipingere parecchie, onde trovato un dipintore suo amico, lo pregò a fare quell’opera (e avverti, o lettore, ch’io fo qui paragone dei cervelli pittoreschi, non del loro sapere, chè non dicessi: Oh, che hanno che fare i pittori nominati di sopra con questo?): il dipintore disse che sì, ma ch’egli avea bisogno di danari, e che gliene desse una porzione prima che si mettesse a lavorare: così fu fatto. Nei primi giorni il lavoro andò innanzi; ma fra poco venne dal dipintore tralasciato, per modo che, non lasciandosi egli più vedere, il legnajuolo fu obbligato a chiamare un altro di quell’arte, perchè lo guidasse a fine, e così fu. Avvenne per caso, che riscontratosi il legnajuolo col primo pittore, si querelò seco agramente che l’avesse piantato in tal forma, e si dolse della poco buona fede con cui si era diportato seco. Il pittore, posta la mano nella scarsella, senza punto scusarsi nè dire parola, gli sborsò i danari che ricevuti avea e gli volse taciturno le spalle. Giunto a casa sua, scrisse al legnajuolo una lettera in cui gli diceva che essendo egli uomo di sentimento fino e delicato, deliberava di avvisarlo di una cosa francamente, cioè ch’egli avea risoluto di ammazzarlo la prima volta che trovato lo avesse, e che perciò si guardasse bene dall’andare disarmato, perchè in ogni modo egli volea cacciargli lo spirito fuori del corpo. Il legnajuolo, ricevuta la lettera, e pensando che l’armi sue egli era usato ad adoperarle sull’asse e sui travicelli, ebbe ricorso alla giustizia, e quivi fece palese che la sua sega e le pialle erano arme disuguali da opporle alle spade e agli stocchi. Fu ordinato a’ birri che andassero incontanente in traccia dello scrittore della lettera, i quali ne lo trovarono appunto che con uno spadone sotto al braccio, coperto dal mantello, usciva di casa in traccia del suo nemico, e lo condussero per altra via alla prigione.