Novellette e racconti/LXVIII. Il Quadro d'Imeneo
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LXVIII.
Il Quadro d’Imeneo.
Narrasi che un giovinetto ricchissimo, e bello di aspetto, era innamorato gagliardamente di una fanciulla tutta bellezza e modestia, con la quale avendo già pattuito e assegnato il giorno delle nozze, era il più contento e giovial giovane che vivesse a quei giorni. Tutt’i pensieri suoi erano allegrezza e speranza di godimento. Già gli parea di vedere con gli occhi il giorno delle nozze tutto sereno; gli suonavano negli orecchi gli strumenti; vedea le apparecchiate mense, gli amici e i parenti in festa, e soprattutto la sposa sua vestita riccamente, acconcia i capelli come una Venere; e in somma si raggirava pel cervello tutte le consolazioni che io dico e che non dico. In tanta festa e ricreazione di animo fece venire a sè un pittore, e gli disse: Pittor mio, io voglio che tu mi dipinga il giovinetto Imeneo, dio delle nozze. Io ho a sposarmi di qua ad un mese, e debbo avere questo sì caro e benefico nume nella mia stanza, ma vedi bene, che tu me lo faccia a modo mio. Io voglio che tu mi dipinga un garzoncello tutto grazia, con un visetto di latte e rose; pienotto, con due occhiolini che sfavillino per la giocondità: delle sue manine, l’una terrà una facellina con una fiammolina chiara, e se tu puoi fare che la sua luce somigli a quella del sole, si la farai tale; l’altra avrà una finissima catena d’oro con maglie che appena si veggano, fornita qua e colà di diamanti; abbia d’intorno le Grazie, qualche amoretto, i giuochi, gli scherzi e i risolini; in somma, ed egli e tutta la famiglia sua fa che sia una delizia e una consolazione. Il pittore, accettata la commissione, va a casa sua, squaderna libri di mitologia, si empie la testa e il cuore di quanta allegrezza sa e può, e con l’immaginativa pregna dello studiato e dell’inventato disegna e dipinge un Imeneo tale, che parea dipinto fra i suoni e i canti dell’Olimpo. Arreca il quadro suo al giovane, lo scopre: questi lo guarda e loda, ma non pienamente; maggiore era ancora l’allegrezza sua intrinseca, di quella che vedea nel quadro. Ordina al pittore che lo ritocchi, che faccia più lieto l’Imeneo, più gioconde le figure che avea d’intorno: il pittore promette e nel riporta seco. Il tempo era breve; si fanno le nozze prima che sia compiuto il quadro. Passano quindici dì in circa dopo il matrimonio, e il pittore ritorna con la tela sua, la quale avea lasciata qual era prima, senza metterle pennellata sopra. Il giovane la vede e dice: Ohi, troppo più che io non volea, l’avete voi fatto ora lieto questo Imeneo: quelle labbra ridon più del dovere; questa catena vorrebbe essere un po’ più grossa; quella facella è soverchiamente chiara e dovrebbe gittar fuori un poco di fumo. Che dirò io più? che in due mesi lo volea dipinto con le lagrime agli occhi, con una catena grossa due dita da galeotto, e con un tizzone rovesciato in cambio di facella. Ma il pittore ch’era uomo di giudizio, non volle fare questo scandalo; anzi dipinse un certo Imeneo che, veduto fuori per un cristallo da lontano, parea tutto festevole e ridente, e veduto da vicino, facea all’incontro una bocca e due occhi da piangere, che parea battuto: e in tal guisa soddisfece alla volontà degli amanti e degli ammogliati.