Novelle orientali/XVII. Di una bella risposta data da un Medico cristiano ad un Califfo

XVII. Di una bella risposta data da un Medico cristiano ad un Califfo

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XVII. Di una bella risposta data da un Medico cristiano ad un Califfo
XVI. Gratitudine particolare e sentimenti di generosità fra due Signori arabi XVIII. Come un Mago facesse desistere un Dervis dall'esercizio della pittura
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XVII.


Di una bella risposta data da un Medico cristiano ad un Califfo.


Il Califfo Mutevekul ebbe qualche sospetto di Honen suo medico. Essendo questi cristiano, ebbe timore che l’imperadore dei Greci sotto colore di religione ne lo obbligasse a fare qualche tentativo contro la sua vita: per accertarsi della fedeltà del suo medico, deliberò il Califfo di metterlo ad una difficilissima prova, e gli disse un dì: Honen, ho un nimico; voglio farlo morire segretamente: apparecchiami un veleno di così sottile natura, che in colui, a cui è da me destinato, non si possa scoprirne un segno.

Signor mio, gli rispose Honen con fronte nobile e ferma, ho imparato a comporre solamente le medicine utili: come avrei potuto pensare che l’imperadore dei veri credenti dovesse un giorno chiedermene di altra qualità? Perciò se volete essere ubbidito, siami lecito di allontanarmi dalla corte vostra, e di andare in altri paesi ad apprendere cose da me non sapute fino al presente.

Mutevekul gli rispose ch’egli volea che ordini da lui dati fossero in sul fatto eseguiti; e fece uso a mano a mano di preghiere, di minacce, di promesse; ma non potè mai trarlo a cedere alla sua volontà. Sdegnatosi finalmente di ritrovarlo così immutabile e saldo, lo fece mettere in carcere, ed appresso di lui fece incarcerare una spia che gli avesse a dare minuto ragguaglio di tutte le sue più menome azioni.

Honen tenendo per fermo che la vergogna è nella colpa, non nel gastigo, sofferì con altezza di cuore quello che non avea meritato. Alleggerì la noja della carcere fra gli studi, e passò tutto quel tempo, in cui stette rinchiuso, a trasferire dei libri greci in arabo ed a fare dei comenti ad Ippocrate. [p. 261 modifica]Passò in tal guisa un anno, a capo del quale il Califfo lo fece venire a sè. Erano stati riposti sopra una tavola d’oro, gioje e drappi preziosi di seta; e dall’un lato di essa tavola vedeansi fruste, e di tutti gli altri strumenti atti a dare tormenti.

Avesti quanto tempo ti abbisognava, disse Mutevekul al medico, per considerarla bene; nè posso io credere che tu sia tanto nemico di te medesimo, che tu voglia far più lunga resistenza al mio volere. Fa tu però a modo tuo: o tu eleggi queste ricchezze che ti vedi qui davanti, o la tua fine tra i supplizi terribili che quivi vedi apparecchiati. Io vi feci già intendere, rispose Honen con intrepido cuore, che io non conosceva altre medicine, fuorchè quelle che prolungano la vita degli uomini, e che quelle che l’accorciano, non le conosco. Sia qual volete voi la mia sorte, sono pronto assoggettarmi a quella.

Il Califfo spogliatosi di quella finta severità che gli appariva nella faccia, gli disse: Non temere; vi fu chi mi fece sospettare della tua fedeltà; era necessaria tal prova per isgombrare i sospetti; abbiti tutta la mia fiducia di nuovo; ma voglio che tu mi dica quali ragioni t’indussero a disubbidirmi.

Signore, rispose Honen, a fatica e con dispiacere potei fare resistenza ai voleri del maggior principe della terra; ma a ciò mi hanno obbligato la mia religione e la professione che io fo. La religione cristiana, la quale comanda che si faccia del bene anche a’ nemici, molto più comanda a ragione che non si faccia male a chi non lo ha fatto a noi; e la medicina, quella divina scienza che inventata venne per conservazione degli uomini, non dee servire alla distruzione di quelli. I medici, prima di esercitare quest’arte cotanto sublime, si obbligano con solenne giuramento a non mai somministrare rimedj che nuocano. Belle e gravissime leggi sono queste, disse il Califfo, e certamente mi parrà sempre degna di ammirazione una religione ed una professione che fondate sono in leggi di tal sorta.