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260 | novella xvii. |
chini per le spese del viaggio, e di più gli diede una lettera di favore al governatore di Damasco.
XVII.
Di una bella risposta data da un Medico cristiano ad un Califfo.
Il Califfo Mutevekul ebbe qualche sospetto di Honen suo medico. Essendo questi cristiano, ebbe timore che l’imperadore dei Greci sotto colore di religione ne lo obbligasse a fare qualche tentativo contro la sua vita: per accertarsi della fedeltà del suo medico, deliberò il Califfo di metterlo ad una difficilissima prova, e gli disse un dì: Honen, ho un nimico; voglio farlo morire segretamente: apparecchiami un veleno di così sottile natura, che in colui, a cui è da me destinato, non si possa scoprirne un segno.
Signor mio, gli rispose Honen con fronte nobile e ferma, ho imparato a comporre solamente le medicine utili: come avrei potuto pensare che l’imperadore dei veri credenti dovesse un giorno chiedermene di altra qualità? Perciò se volete essere ubbidito, siami lecito di allontanarmi dalla corte vostra, e di andare in altri paesi ad apprendere cose da me non sapute fino al presente.
Mutevekul gli rispose ch’egli volea che ordini da lui dati fossero in sul fatto eseguiti; e fece uso a mano a mano di preghiere, di minacce, di promesse; ma non potè mai trarlo a cedere alla sua volontà. Sdegnatosi finalmente di ritrovarlo così immutabile e saldo, lo fece mettere in carcere, ed appresso di lui fece incarcerare una spia che gli avesse a dare minuto ragguaglio di tutte le sue più menome azioni.
Honen tenendo per fermo che la vergogna è nella colpa, non nel gastigo, sofferì con altezza di cuore quello che non avea meritato. Alleggerì la noja della carcere fra gli studi, e passò tutto quel tempo, in cui stette rinchiuso, a trasferire dei libri greci in arabo ed a fare dei comenti ad Ippocrate.