Novelle (Vettori)/Novella seconda
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NOVELLA SECONDA
Un gentiluomo da Verona, nomato Giulio Celsi, sendo molto ricco e gentile e di età di anni venti, prese per donna una bella figlia chiamata Lucrezia, che gran tempo era stata amata da un altro gentiluomo Veronese detto Tiberio, ed avrebbela voluta per moglie: ma qualunque ne fosse la cagione, i parenti della fanciulla vollero più presto darla a Giulio. Tiberio fu molto dolente di questo parentado; non di meno prese per partito di non se ne curare, ed essendo prima amico di Giulio, si dimostrava amicissimo, e si sforzava accrescere la familiarità ed amicizia. Giulio menò la donna a casa, e come giovane liberale e ricco, ogni dì faceva conviti, ed intratteneva fra gli altri molti questo Tiberio, stimando gli fusse amico vero e fidato, ed ogni giorno cavalcavano insieme a piacere ed a caccia, e parevano non potessero vivere l’uno senza dell’altro. Occorse che il verno passato Giulio ordinò di fare una caccia a cinghiali sù alto nella valle dell’Adige, e Tiberio volle andare in sua compagnia. Ordinasi la caccia: viene il giorno deputato, e Tiberio da Giulio mai si partiva. Levasi un porco; Giulio lo segue, e Tiberio il medesimo; Giulio viene alle mani col porco, ed allora Tiberio che lo vide impegnato, d’uno spunzone che aveva in mano nella coscia destra gli diede, e lasciollo in preda al porco, il quale trovandolo debole per la gran ferita, poco penò a strenarlo del tutto. Era già notte: suonasi a raccolta, e Giulio non torna. Tiberio mostra averne gran passione, pure dopo che i compagni ebbero cerco gran pezzo di notte, lo trovarono morto, e credettero fosse stato ucciso dal cinghiale. La nuova venne in Verona, e ciascuno universalmente ne fu dolente, ma sopra ogni altro la misera Lucrezia sua donna, la quale sparse assai lagrime e grida sopra il corpo del morto marito; e poichè furono fatte l’esequie nè dì nè notte cessava di piangere ed affliggersi. Tiberio in capo di otto giorni quando pensò che il dolore fosse alquanto mitigato, come amico del marito l’andò a visitare; e trovando la donna altrimenti disposta da quel che pensava, non usò altre parole che generali e consolatorie. Adoperò ben dipoi certa donna per la quale fece intendere alla Lucrezia che un gentiluomo l’amava, tacendo il nome; ma la Lucrezia con detta donna si scandalizò, e la minacciò assai. Era Giulio d’un mese morto, e fatte tutte le cerimonie che s’usano fare in simili casi, quando una notte alla Lucrezia che dormiva apparve ferito e tutto insanguinato; ed appunto com’era seguita la sua morte le narrò, e che si guardasse che Tiberio non l’ingannasse come aveva ingannato lui, e disparve. La Lucrezia inteso il caso, con virile animo il marito determinò di vendicare, e cominciò a prestare orecchia alla donna che le aveva parlato, ed a Tiberio far buon viso, talmente che la messaggera, preso animo, l’amore che Tiberio le portava le scoperse; di che la Lucrezia mostrandosi lieta, la sera che da lei dovesse venire compose, ed ordinato un pasto glorioso e vini eccellenti, aspettò la sera Tiberio, il quale venuto, e cominciando molto bene a mangiare e bere, sendo il vino un poco oppiato, non ebbe appena finita la cena che s’addormentò. La donna fattolo mettere in un letto, quando lo vide profondato nel sonno, con un ago tutti due gli occhi gli trasse, e serrata molto bene la camera, di quella uscì; e come fu giorno, andatasene alla sepoltura del marito, e quivi come fosse successa la morte del marito narrato, se stessa con un coltello uccise. Il misero Tiberio sendo privato degli occhi, ed il caso già divulgato per Verona, fu preso dalla famiglia del Potestà, ed esaminato, confessando, fu punito di pena capitale.