Novelle (Sercambi)/Novella LIIII

Novella LIIII

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Novella LIII Novella LV
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LIIII


Piaciuto la novella de’ re Sparaleone al preposto, essendo giunti a Spoleti quine u’ trovarono bene aparecchiato e li stormenti presti a sonare, e’ danzatori, perché più giorni danzato non aveano, con dolci suoni una danza, prima che a cena si mettessero, cominciorono, con alcuna canzonetta piacevole, dicendo:

«Canzon, s’io mi fo mal, di ch’io mel pianga,
che ’l bene è mio riposo e ’l certo veggio,
e poi più di mia vita eleggio il peggio».

Dapoi, fatto il preposto cenno della cena, si puosero a cena e con piacere di suoni e di stormenti <stenno> tanto che l’ora del dormire giunse. Il preposto rivoltosi a l’altore disse che verso Iesi volea andare e per lo dì seguente ordinasse bella novella, volendo di tal camino far ii giornate con ii belle novelle. L’autore che tutto <ha> inteso, diè ordine la notte di dormire. E la mattina levati, alla brigata l’altore parlò dicendo:


DE PLACIBILI LOQUELA

Di messer Piero <da> Rabatta catelano, corsale
crudelissimo.


F>u un messer Piero <da> Rabatta, catelano e corsale, omo crudelissimo e grande rubbatore e micidiale in mare; avendo suo navilio bene aconcio et armato di ciò che bisognava, fornito [p. 241 modifica]di naviganti come lui crudeli et asprissimi, si misse in mare con intenzione di rubar et uccider qualunca trovassero, fusseno di che condizione si volesse. E tal mossa fu a l’entrata di magio. E navicando per lo mar de’ Lione, moltissimi navigli rubbò e le persone uccise, non guardando né che né come; tra’ quali funno molti di Genova e della riviera.

Li genovesi, ciò sentendo, armano alquante galee per poter il ditto messer Piero da Rabatta prendere per vendicarsi di quelli genovesi che lui presi avea e messi in mare. Messer Piero da Rabatta, ciò sentendo, partisi del mare de’ Lione et andò innel mar Adriano, e quine molti veneziani rubbò et uccise et altri in gran quantità. La comunità di Vinegia, sentendo che messer Piero da Rabatta catelano avea presi e morti molti veneziani, subito armaro galee e navi et entrarono in mare per trovarlo. Messer Piero sentendo l’armata de’ veneziani, e pensò di uscire loro dinanti.

E fatto vela per venire innel mare di Spagna e quine stando a fare l’arte sua, divenne che una nave di romei passavano per andare a Santo Jacopo, sopra della qual v’avea di molte lingue. E passando presso a’ legno di messer Piero da Rabatta senza guardarsi, subito la ditta nave per lo ditto messer Piero e compagni presa fu, sperando esser molto ricchi. E veduto che in quella altro che pellegrini non erano e poca robba, diliberò per dispetto più che per utile che aver ne potesse, doppo alcun dì farli morire. E così quelli tenne ii dì, dando loro poco da mangiare in tanto che quasi morti pareano.

Messer Piero, vedendo che di loro altro che spesa e danno aver non potea, comandò che tutti fussero nudi messi in mare colle mani legate acciò che non potessero campare, e quelli pochi di panni o denari, se neuno n’avessero, rimagnano. Comandato che ebbe, subito tutti nudi colle mani assettate funno legati e cominciati a gittare in mare.

Et avendoli tutti gittati salvo uno francioso, il quale come si vidde prendere per gittarlo in mare, parlò alto dicendo: «O sire, ciese est trou gran boire a si pitit mangier». Messer Piero, udendo sì bel motto, subito comandò che lui fusse rilassato. E datoli [p. 242 modifica]tutte suoi robbe e denari e domandato dove andar volea, rispuose: «A San Jacob». E messo uno paliscerno in mare, quel francioso <fu> misso a terra presso a Castiglia. E per questo modo campò il francioso per una dolce parola e bel motto.

Ex.º liiii.