Novelle (Sercambi)/NOTE/Nota filologica/II. Le edizioni/B) La presente edizione

II. Le edizioni - B) La presente edizione

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B) La presente edizione


Stabilito tutto ciò, si giunge infine alla questione fondamentale: è legittima e giustificata una edizione critica basata su di una tale debolissima tradizione testuale?

Questione che affrontiamo facendo prima di tutto una considerazione di carattere generale, e cioè che l’unica giustificazione di cui un testo ha veramente bisogno è la sua stessa esistenza fisica, e che il numero dei problemi ad esso connessi si identifica ed esaurisce con il numero dei problemi in esso contenuti. Tenendo conto di questo principio e di tutti i problemi fin’ora discussi riguardo al codice Trivulziano 193, la critica testuale, che nel nostro caso non riesce a trovare le sue basi su di una testimonianza chiaramente autografa né su di una pluralità di testimonianze mediante un criterio comparativo, deve necessariamente fondarsi su di una euristica tendente a colmare la distanza fra l’apografo ed il suo archetipo; euristica che per la sua stessa natura traduce un criterio puramente congetturale in uno di natura genuinamente filologica.

Nella prassi, dunque, la critica testuale che riguarda le Novelle del Sercambi, si pone come restauro testuale. In questa operazione ci soccorrono intanto ausili di grande importanza quali la testimonianza offerta dal codice lucchese delle Croniche, lo studio delle abitudini linguistiche, fonetiche e morfosintattiche, delle altre opere dello scrittore ed infine le abitudini ed i caratteri fonetici e morfosintattici sincronici.

All’obbiezione che un simile procedimento lascerebbe sempre un margine di dubbio che inficierebbe alla base la possibilità stessa dell’edizione, si può rispondere prima di tutto ricordando che, se esso viene inteso in modo empirico e meccanico, allora il dubbio è ineliminabile dalla critica testuale in qualunque forma essa si presenti; ma a quell’obbiezione si risponderebbe meglio osservando che proprio il porre un simile dubbio è in se stesso un atto illegittimo perché basato su di una mera congettura, e cioè la presunzione dell’esistenza dell’«altro». Vano [p. 822 modifica]sarebbe dunque battere una simile strada che non potrebbe trovare altro sbocco che in un assoluto scetticismo.

La presente edizione riflette adunque il testo del codice Trivulziano 193 studiato al lume della testimonianza parziale offerta dal codice Lucchese 266 e giustificato nelle sue forme lessicali, morfologiche e sintattiche al lume degli altri scritti degli Sercambi e di opere di scrittori a lui contemporanei. La punteggiatura, che costituisce forse la misura fondamentale della nostra interpretazione, è stata scandita tenendo nell’orecchio il timbro «orale» della narrazione del Sercambi: di un narratore cioè che aveva sempre presente un ben definito uditorio, sui gusti del quale egli modellava il suo impasto linguistico particolare, che da una parte riflette la situazione del vernacolo lucchese tra la fine del xiv ed il principio del secolo xv, e dall’altra tende ad essere un mezzo allusivo dell’ambiente borghese raccolto intorno alla corte del Guinigi, nutrita alla tradizione fiorentina e con ambizioni e gusti umanistici.

Bisogna riconoscere che un sistema di punteggiatura sviluppatosi dentro un sistema sintattico di natura fortemente prescrittiva e letteraria mal si adatta a registrare tutti i movimenti e le libertà che si vuol concedere il tipo di narrazione paraipotattica di intonazione popolaresca qual è quella del Sercambi. Nell’interpungere abbiamo perciò tenuto presente questa situazione. L’interpunzione ha qui dunque lo scopo precipuo di dar la possibilità alla narrazione parlata del novelliere di spiegarsi in tutte le sue volute e di scandire le sue pause; ha lo scopo di precisare i legamenti lasciando allo stesso tempo libera l’inflessione e l’intonazione.

Rendendo dunque il testo dell’apografo Trivulziano, ci siamo limitati a segnalare la corruttela solo quando essa è evidente e quando non abbiamo potuto trovare una giustificazione alla forma presentata dal testo stesso. Abbiamo congetturato solo quando autorizzati dal testo stesso, limitandoci, in mancanza di una tale autorizzazione, a congetturare il vuoto. Allorché poi la corruttela di T è manifesta ci siamo appellati alla testimonianza del codice Lucchese.

Di T abbiamo conservato anche la grafia con tutte le oscillazioni (tranne qualche raro caso, in cui ci è sembrato impossibile, e di cui renderemo conto nella nota sulla grafia che segue), con qualche indispensabile modifica che chiariremo. Abbiamo rimesso i titoli in italiano al loro proprio posto, cioè subito dopo quelli latini, convinti che essi siano i veri titoli delle novelle e che quelli latini rappresentino piuttosto dei traslati. Abbiamo d’altra parte livellato i titoli latini secondo la grafia [p. 823 modifica]media del tempo, perché in essi è evidente, come abbiamo già sottolineato, l’intervento corruttore dell’amanuense.

Si è anche dibattuto se i titoli latini appartengano al Sercambi o non siano da considerarsi piuttosto interpolazioni dell’amanuense1. A prescindere dalla loro grafia, spiegabile nel caso di uno che copi sotto dettatura o che sia completamente digiuno di latino, essi qualche volta non hanno niente a che vedere con il contenuto della novella2, altre volte sono vanamente ripetuti, mostrando di non essere che degli elementi schematici non intesi come parte della novella. Tuttavia, queste considerazioni non ci rendono molto scettici nei confronti della loro autenticità, poiché sarebbe più assurdo pensare, invece, che si tratti di interpolazioni. Ci siamo dunque limitati, in un simile caso, dopo aver preso conoscenza della grafia e delle abitudini mostrate dal Sercambi nel trascrivere documenti latini3, a livellarli graficamente, dando allo stesso tempo in apparato l’aspetto che essi hanno nel codice, senza osare di emendare neppure nei casi in cui la voce (in tipi come malvagitate, desmemoragine, lealtate, romito, ecc.) manca di attestati attendibili nel latino medievale.

Secondo la numerazione di T abbiamo diviso la narrazione in capitoli contenenti ciascuno la novella preceduta dal suo prologo e seguita da Ex.º più il numero progressivo che la novella ha nel testo. Il numero romano che segna l’inizio del capitolo, pur essendo nostro, riflette la numerazione che si trova alla fine di ciascuna novella.

L’edizione riflette anche la mancanza della lettera iniziale miniata nella novella e nel suo prologo, dove è stata da noi aggiunta chiudendola in parentesi uncinata. In parentesi dello stesso tipo abbiamo chiuso le nostre congetture e integrazioni basate sui guasti del testo e segnalati in apparato mentre le frasi parentetiche appartenenti al testo sono state racchiuse in parentesi tonde4. Per le lacune lasciate dall’amanuense abbiamo usato puntini sospensivi in numero corrispondente alle lettere mancanti, segnalando la lacuna in apparato. Per quelle congetturate da [p. 824 modifica]noi abbiamo usato puntini in numero approssimativamente uguale alla congetturata estensione della lacuna stessa.

Per la divisione del testo in capoversi ci siamo regolati sulla guida del codice, mettendo ordine in una suddivisione, come abbiamo avuto modo di rilevare, piuttosto capricciosa. In genere, un nuovo capoverso riflette l’inizio di un nuovo episodio o, dentro l’ambito di uno stesso episodio quando ciò è stato possibile, di una nuova scena. Abbiamo racchiuso tra virgolette i brani in discorso diretto; non ci è stato possibile, data la particolare conformazione del periodo sercambiano e della sua punteggiatura, sciogliere interamente il dialogo, come sarebbe in molti casi desiderabile.

I numerosi versi presentano un problema a sé; dato che non conosciamo il codice utilizzato dal Sercambi, non possediamo elementi sufficienti ad accertare se sia mai avvenuta interpolazione da parte sua (tranne qualche raro caso come rileviamo nell’apparato) o da parte del copista, o se egli abbia copiato o citato a memoria (come è possibile pensare)5. Siamo intervenuti solo nei casi in cui, ripetiamo, la corruttela è evidente; negli altri casi, anche quando T offre una lezione affatto diversa degli altri codici, abbiamo reso questa fedelmente; e così ci siamo regolati nei casi di anisosillabismo che non abbiamo tentato di regolarizzare. In ogni caso, la lezione di T non adottata è stata registrata in apparato. Per i capoversi delle poesie ci siamo naturalmente regolati sullo schema del componimento, tranne che nel sonetto acrostico dell’Introduzione che abbiamo diviso in due gruppi di otto versi ciascuno per mettere in risalto le due combinazioni del nome e del cognome.

In apparato abbiamo dato: indicazioni bibliografiche sulle fonti accertate o presunte delle novelle; indicazioni bibliografiche sui mss. e sulle più importanti edizioni a stampa delle poesie; tutte le varianti delle novelle contenute nel codice Lucchese; tutte le lezioni di T non adottate, e, quando necessario, la ragione dell’emendazione; le lezioni già espunte in T; le nostre espunzioni in parentesi quadre; le correzioni presenti nel codice, aggiunte nell’interlinea, segni lungo i margini, segni di richiamo o di rinvio; ubicazione delle lacune; guasti e macchie nel codice; lettere rese incerte o da macchia o a causa dello svanimento dell’inchiostro.

  1. È quello che crede il Dinucci (cfr. Le nov. nelle «Cron.» di G. S., in Miscell. lucch. di St. e Letter. in mem. di S. Bongi, Lucca, Artigianelli, 1931, p. 163).
  2. Come venne già rilevato dal Renier (cfr. Novelle ined. cit., p. xxxiv, n. i); si confrontino, ad es., i titoli coi rispett. contenuti delle nov. cxv, cxxii, o cxl.
  3. Cfr. Cron., i, pp. 67-84, 11, pp. 20-32, ecc.
  4. Seguendo le considerazioni dell’Ageno (cfr. Questioni d’interpunzione nella critica test., nel vol. Il verbo nell’ital. antico, Milano-Napoli, Ricciardi, 1964, pp. 490-506), abbiamo posto in parentesi le note del narratore e le note appositive che non hanno diretta attinenza col racconto, e fra lineette le frasi incidentali legate alla narrazione.
  5. In molte delle citazioni dantesche incluse nelle Croniche (ad es., i, p. 403; ii, pp. 262, e 263; in, pp. 305 e 402) è evidente che il Sercambi citava a memoria, dato che esse presentano delle varianti che non possono essere spiegate con il testo del Lanense da lui utilizzato (si v. a questo propos. il nostro art. Di un commento al «Paradiso» ecc., cit.).