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I. I manoscritti - B) Il codice Lucchese 266

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B) Il codice Lucchese 266


Cartaceo del xv secolo, mm. 300 × 220, n. 266 dell’Archivio dei conti Guinigi, di cc. 160 numerate in cifre romane e disposte in quinterni con richiami alla fine di ciascuno di essi. Un quaderno di guardia all’inizio ed uno alla fine. Scrittura cancelleresca minuscola; legatura in pergamena dura del secolo xix1.

Titolo: Croniche del secondo libro di Lucha et del Signore Paolo Guinigi di Luccha et daltri paesi come chiaramente apparira per ordine. Incipit: Auendomi io Giovanni Sercambi posto innella mente di non volere più oltra narare delle cose che uegnano in questa Ytalia (c. ir). Explicit: Essendosi il magnifico signor Paulo con tutti suoi figliuoli andato a Chamaiore e quitte restato quanto a lui piaqtie dilibero andare a pietra santa e quine dimoro (c. clxr).

La narrazione è divisa in cccxvi capitoli, con lettere iniziali grandi e con spazi in bianco all’inizio della maggior parte di essi per le illustrazioni che si sarebbero dovute eseguire più tardi2. Sulla prima c. di guardia si legge: «Resarcito totaliter per me B. Bocci questanno 1522, che era in ultimo suo fine condotto, perché dia lume e memoria a voi altri che impariate a mantenere e governare la repubblica e populare istato in libertà, e vi guardiate da quelli cittadini che vogliono arogantemente vivere e che non atendeno a mantenere il populo et larte e massime della seta».

Il Bongi crede autografi sia il L 266 che il n. 107 dell’Archivio dello Stato di Lucca contenente la prima parte delle Croniche, basandosi sul confronto con i documenti sicuramente di mano del Sercambi, e cioè la Nota ai Guinigi e alcune lettere scritte da Montevarchi e da Arezzo all’epoca della sua ambasceria presso il conte Alberigo da Barbiano3. [p. 812 modifica]Sull’autografia delle lettere (firmate in genere Il vostro J ser C.) non vi possono esser dubbi: né tantomeno su quella della Nota che era, come sappiamo, un importante documento segreto inviato alla Signoria e che perciò non poteva essere affidato all’amanuense. La scrittura dei due documenti è infatti molto simile, tenendo presente che la Nota mostra una mano più controllata, essendo essa destinata ad essere letta e consultata con cura ed attenzione, e a divenire (nelle speranze dell’autore, almeno) lo strumento ufficiale della politica dei Guinigi.

Un confronto accurato tra la scrittura delle lettere e della Nota e quella dei codici 107 e 266 dell’Archivio lucchese, condotta con l’assistenza di esperti, esclude però che essi possano ritenersi eseguiti dalla stessa inano. Furono messe a confronto la scrittura della Nota con brani del L 107 dell’ultima decade del secolo xiv, e con i primi capitoli del L 266. La scrittura della Nota è di tipo cancelleresco minuscolo, come quella dei codd. lucchesi, tuttavia i caratteri di questi sono più arrotondati e grandi, ufficiali. Per quanto riguarda i dettagli, si osserva: D maiuscola: nella Nota sempre doppia ed ovale, in L sempre rotonda, con l’asta gotica, e qualche volta (ma raramente) come un grande δ. E maiuscola: in N. costruita come una C eretta tagliata a metà da una linea ondeggiante: in L costruita a tridente leggermente appiattito, mai tagliata a metà. L maiusc.: in N. terminante all’apice con un’asola rivolta verso l’interno; in L sempre con un uncino rivolto all’esterno. S maiusc.: in N. un esempio serpeggiante ed un altro a forma di grande σ; in L sempre stilizzata e rigida.

Caratteristica è poi in N. l’oscillazione della u e v iniziale: si notano utile, uoi, uanno, uostro, uegano, uniti, ma anche vtilitá, vno, veduto; in L, invece, u è di regola all’inizio di gruppo grafico. N. reca frequentissimi esempi di j in fine di gruppo, che in L è assolutamente sconosciuto tranne che nei numerali. Per quanto riguarda le abbreviazioni più comuni, si osserva: per: in N., p col taglio alla metà superiore dell’asta, che in L è sempre localizzata all’estremità inferiore di essa; pre; in N., p sormontato dalla lineetta a cupola, che in L è brevissima e quasi retta; pri: in N., p con l’apice a triangolo, che in L ha invece sempre la forma di accento acuto; pro; in N., p con la lineetta obliqua aperta intorno all’asta, che in L si chiude formando un 8. La grafia della Nota concorda pienamente con quella delle lettere.

L’ovvia conclusione da trarre da questa analisi ci sembra dunque sia quella di dover considerare i codd. L 107 e 266 come degli apografi diretti, eseguiti certamente (nella sua interezza il primo, ed almeno in [p. 813 modifica]massima parte il secondo) sotto la vigilanza dell’autore stesso, il quale aveva destinato le due opere al suo signore ed amico4.

D’altra parte è pur vero che i due codd. L sembrano appartenere alla stessa mano che eseguì la copia del commento lanense del Paradiso dantesco già attribuito al Sercambi5. Bisogna qui ricordare che egli, a quanto pare, commerciava anche in libri, che faceva copiare per poi vendere non solo al Guinigi, ma anche a privati6.

Un testo come quello presentato dal L 266, dunque, approvato e controllato dall’autore, assume un valore inestimabile ai fini del restauro del testo di T, in generale, perché esso rende possibile l’indispensabile scrutinio della grafia e dei modi morfosintattici del Sercambi, ed in particolare perché esso, come già detto7, contiene una redazione di dodici delle novelle della raccolta di T, e precisamente:

nov. xlviiii alle cc. 114v-115v

»

lv

»

28v-29v

»

lxi

»

50v-52v

»

lxxiiii

»

8v-9r

»

cxvi

»

31r-32v

»

cxviii

»

38v

»

cxxiiii

»

39v-40v

»

cxxxiiii alle cc. 10v-11v

»

cxxxvi

»

101r-102v

»

cxxxvii

»

14v-15r

»

cxxxviiii

»

17v-18r

»

cliii

»

96r-99v

Collazionando la redazione di T con quella di L risulta evidente la loro discendenza dallo stesso capostipite; con ogni probabilità, benché [p. 814 modifica]questo non possa categoricamente essere accertato, dall’originale8. Ma si nota anche che L non copia l’originale nella sua integrità, ma se ne serve in genere per trarre una redazione del racconto (i cui aspetti parenetici, nella redazione delle Croniche — dove esso veniva utilizzato precipuamente come esempio politico e morale — venivano ad assumere un risalto maggiore a spese di quelli più genuinamente narrativi) più ristretta, con qualche passo financo riassunto, i nomi propri cambiati o trasformati. Ma che questa redazione sia da intendersi come quella più vicina cronologicamente all’originale è mostrato dalla persistenza, ad esempio, di nessi grafici come ct o pt, quasi del tutto scomparsi nella redazione di T e nella evidente resistenza alla tendenza verso la lucchesizzazione delle sibilanti, caratteristica di T, come abbiamo già rilevato nel capitolo precedente.

In conclusione, mentre L non può sostituire T, esso tuttavia rappresenta un validissimo ausilio nella recensione della lezione trivulziana.

I codd. L recano anche esemplari di molte poesie incluse nelle Novelle. La necessità e l’inevitabilità di un raffronto fra le due redazioni pongono qui tuttavia dei problemi più delicati, in quanto, pur sapendo che quasi nessuna delle poesie sia attribuibile al Sercambi stesso, non conosciamo quale codice o codici egli abbia utilizzato; problema che a sua volta viene complicato dal sospetto che in qualche caso l’autore citasse fidandosi della sua memoria. Ma pur con queste limitazioni, la lezione offerta da L è certo di enorme aiuto alla recensione del nostro testo, anche se in questo caso una doppia dose di prudenza è indispensabile.

  1. Cfr. la Pref. del Bongi alle Croniche cit., p. xxxiii, n. 2; alle pp. xxxii-xxxiv della stessa Pref. rinviamo per un resoconto delle vicissitudini del cod.
  2. Ibid., p. xxxii, n. 2.
  3. Ibid., p. xxviii. Le lettere, 14 in tutto, sono conserv. nell’Arch. dello Stato di Lucca (Filza 571-73 commiss. n. 7). Il Funi (Regesti, ii, Carteggio degli Anziani racc. e riord. da L. F., Lucca, tip. Marchi, 1903, p. 655) registra sotto il n. 1500 bis sei lettere che egli attribuisce al Sercambi e che sarebbero state scritte dal cronista durante la sua missione a Pietrasanta nel giugno del 1392 (cfr. Cron., i, 285-287); esse sono firmate I C di I che il Fumi decifra in Johamves Confaloniere di Iustitia. Ma, a prescindere dal fatto che il Sercambi fu gonfaloniere per la prima volta solo nel 1397, e che in quel giugno 1392 era gonfaloniere Giovanni Galganetti (cfr. Cron., i, 288), tutti i caratteri delle lettere, sia ortografici che linguistici (voci come istanocte, istamactina, dipomezzanocte) sono assolutamente alieni dalle abitudini sercambiane.
  4. Una prova di questa vigilanza si può avere nelle correzioni a penna che qualche volta si riscontrano nei codd.: si veda, ad es., la c. riprod. in fac-simile dal Bongi (Cron., ii, 376) e la nostra nota, sotto, nell’apparato critico, a p. 326,13.
  5. Contenuto nel cod. Laurenziano-Mediceo-Palatino n. 74 e che già il Novati (cfr. Nov. ined. di G. S. a c. di R. Renier cit., pp. xxxiv-xxxix) aveva dimostrato copia del commento di Jacopo della Lana. Per la questione dell’attrib. del commento al Sercambi, si veda la nostra n. Di un comm. al «Paradiso ecc., cit.
  6. Si veda il docum. riport. sopra alla p. 767, n. i. Su questa attività del S. si v. l’art. di R. A. Pratt, G. S. speziale cit. e la nostra nota cit. Che il S., oltre a fornire libri al Guinigi, li vendesse anche ad altri, è confermato dall’appunto del maestro Jacopo Coluccini: «Et [Johanni ser Cambi] demi dare fiorini ij per j Boetio mio che mi vendeo» (cfr. Il Memoriale di Jacopo di Coluccino Bonaria cit., p. 203).
  7. Cfr. sopra, p. 785
  8. Come già detto (v. 1. cit. nella n. preced.) tutte le varianti di L sono riportate più sotto nell’apparato.