Novelle (Bandello, 1910)/Parte III/Novella XXVII

Novella XXVII - Una giovine innamorata, inebriando la sua vecchia, si ritrova col suo amante, e si godono insieme

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Novella XXVII - Una giovine innamorata, inebriando la sua vecchia, si ritrova col suo amante, e si godono insieme
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IL BANDELLO

a l’eccellente filosofo

messer

gian cristoforo confalonero


Ancor che tutto ’l di si ragionasse degli effetti de l’amore e che tutti gli scrittori d’ogni lingua ne scrivessero tutto ciò che mai avvenne, non è perciò che qualche nuovo accidente a la giornata non si veggia. E certamente, quantunque l’uomo o donna sia d’ingegno rintuzzato e piú scemonnito che non fu Domenico Lazarone, che comprò quante mascherpe erano in mercato per far bianca una sua colombara, come Amore vi mette dentro il suo caldo, lo riforma tutto di nuovo e fallo avveduto ed accorto. Pensate poi ciò che fa quando ad elevato ingegno s’appiglia. Ora essendo una brigata di gentiluomini in casa de la signora Leonora giá moglie del signor Scaramuccia Vesconte, in Pavia, messer Giacomo Filippo Grasso, giovine nobile e dotto e buon compagno, narrò una novelletta avvenuta a Castelnuovo, sua e mia patria, ove si vede di che maniera Amore aguzzasse l’intelletto ad una nostra giovane pervenire a l’intento suo. Ed ancor che non sia de le piú accorte cose del mondo, m’è paruto nondimeno di scriverla e a voi donarla, che la vostra mercé stimate le mie ciancie esser qualche cosa. E se tanti accidenti avvenuti altrove ho scritti, perché anco non iscriverò di quelli che ne la mia patria avvengono? State sano e nostro signor Iddio feliciti ogni vostro desiderio. [p. 298 modifica]PARTE TERZA NOVELLA XXVII Una giovane innamorata inebriando la sua vecchia si ritruova col suo amante e si godono insieme. Fu ne la mia patria, signora Leonora e voi cortesi giovini, un figliuolo del podestà di quella, giovine bellissimo e tutto grazioso, il quale s’innamorò d’una figliuola d’un nostro gentiluomo, e tanto seppe fare e dire, che ella se n’avvide e non ¡schifò rendergli buon contracambio, amandolo quanto si possa; il perché d’ambidui era un sol volere di trovarsi insieme. Ed ancora che la difficultà fosse grandissima, non cessava l’uno e l’altro andarsi imaginando tutto quello che gli poteva recar profitto; e massimamente la fanciulla, che di quindici anni era, aguzzava l’ingegno per trovar qualche mezzo. E mentre che si stava in questi avviamenti, avvenne che devendo farsi certe nozze nel licenzioso tempo del carnevale, il padre de la fanciulla con tutta la casa vi fu di tre di innanzi invitato. Ella, parendole che la fortuna le mostrasse ed aprisse la via a' suoi piaceri, finse sentirsi alquanto cagionevole de la persona; onde il padre il di de le nozze la lasciò in casa con una vecchia che le servisse. Ella, imaginandosi che cosi devesse essere, aveva con una lettera avvisato l’amante quanto voleva che facesse. Aveva il padre di lei ne le vòlte alcune botte di vino di Monlia, che suol esser bianco e dolce quanto mèle; onde la giovane disse a la vecchia: — Madre mia, i nostri sono iti a nozze, ed io non voglio perciò che voi digiuniate. Egli v’ò de la carne e vi sono de l’altre cose; ma io voglio che voi facciate de le carbonate del porco e beviate del buon vino bianco, e che stiamo su le grazie. Io, madre mia, me ne starò col mio polletto e col vino mischiato con l’acqua cotta. — La vecchia, a cui sommamente piaceva il buon vino, come a tutti i vecchi per l'ordinario piace, cominciò a ridere e dire che era ben fatto, e tanto più che, quando messere ci era, ella non ne poteva mai bere, non che assaggiare una gocciola. E cosi tutte due desinarono insieme, e trovando la vecchia il vin bianco molto buono, [p. 299 modifica]NOVELLA XXVII 299 mangiando tuttavia de la carbonata, che era salatissima, ne trangugiò più di sette gran bicchieri senza mettervi punto d’acqua. Ora non si fini il desinare, che la vecchia cominciò a tavola a confermar tutto ciò che la giovane diceva, non potendo sostenere il capo dritto, per averle la fumosità del vino ingombrato il cervello. Né guari stette che si lasciò, oppressa dal sonno, cadere in terra. La giovane, veggendo il suo avviso aver luogo, per meglio assicurarsi cominciò a tirar il naso a l’addormentata vecchia ed agramente a stringerle le carni e dimenarla; ma il tutto era fatto indarno. Il perché, fattasi ad una finestra, stava aspettando che il suo amante si lasciasse vedere; il quale, secondo l’ordine scrittogli, comparve e, avuto il segno che aspettava, per via d’un giardino che era dietro la casa, a la sua innamorata pervenne, la quale desiosamente Io accolse, e tutti dui con infiniti e soavi baci e strettissimi abbracciamenti si fecero le più amorose accoglienze del mondo. Dopo questo gli fece vedere a che caviglia la buona vecchia aveva legato l'asino; e non volendo perder cosi buona occasione, si ridussero dentro una camera, ove il giovine, con qualche poco di resistenza nel principio, amorosamente con la sua fanciulla si giacque. E non sapendo quando più devessero aver acqua al lor molino per macinare cosi comodamente come alora, fin che il giovine ebbe del grano ne le bisacce attesero a macinare dolcemente, con gran piacere di tutte due le parti. Venuta poi la sera, la buona vecchia se ne stava pure sonnacchiando ed ancora non aveva digesto il vino. Onde, per mettere un poco di grano ne le bisacce, fecero i dui amanti una grassa collezione bevendo del buon vino bianco. Dopoi per non perdere tempo ritornarono a macinare, e credo che dessero ordine di poter altre volte trovarsi insieme. Quando poi parve al giovine tempo di partirsi, essendo la notte oscura, per la medesima via ove era entrato se ne usci e a casa se n’andò molto consolato, lasciando anco la sua innamorata piena di grandissimo piacere.