Novelle (Bandello, 1910)/Parte I/Novella XVIII

Novella XVIII - Ottone III imperadore ama Gualdrada senza esser amato, ed onoratamente la marita

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Novella XVIII - Ottone III imperadore ama Gualdrada senza esser amato, ed onoratamente la marita
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IL BANDELLO

a la diva

violante borromea

fiorentina

salute


Se le donne, di qual grado od etá si siano, quando sono dagli uomini richieste di cosa meno che onesta, sapessero quanto importi nel sesso feminile e di quanta lode sia degno questo titolo d’onestá, e quanto le renda agli uomini amabilissime e piú che care, elle nel vero non sarebbero cosí pieghevoli e facili a darsi loro in preda, come assai sovente si vede che fanno. Ponno pur le donne, e per udita e per lezione e spesso anco per i casi che a la giornata occorreno, sapere che infinite ne sono state, per aver troppo leggermente creduto, ingannate, e che generalmente gli uomini tante ne appetiscono quante ne vedeno, e mai, o ben di rado, d’una sola si contentano; e nondimeno tutto il dí elle danno del capo ne la rete, e correno a la manifesta rovina loro, come la farfalla tratta da la vaghezza del lume corre volando a la certa sua morte. Né credo io che altro di questo sia cagione, se non che molte per poco cervello s’abbagliano, ed altre assai, persuadendosi o con beltá o con altri modi poter legar gli uomini e tenergli sempre soggetti, di gran lunga ingannate si ritruovano. Non fece giá cosí la sempre da essere commendata e riverita gentilissima vostra cittadina Gualdrada, la quale assai piú stimò d’aver questo titolo d’onestá che la grazia ed il favore d'Ottone III, imperadore romano. Il che come avvenisse, essendo il valoroso giovine e provido capitano, il signor Marco Antonio Colonna, dopo la rotta data al signor Bartolomeo Liviano a la torre di San Vincenzo, alloggiato nel venerabil convento di [p. 232 modifica]Santa Maria Novella, narrò a la presenza sua frate Sebastiano Buontempo, maestro in sacra teologia e priore del detto convento. Essendomi paruta l’istoria degna d’eterna memoria, l'ho descritta, come vederete, ed al nome vostro dedicata. E come poteva io meglio collocarla, che un generoso atto d’una magnanima vergine ad un’altra vergine non meno onesta e magnanima, qual voi sète, donare? Attendete pur e perseverate, seguendo il camino che principiato avete, ché ogni giorno piú s’accrescerá in voi il desio de la vertú e de le buone lettere, le quali, usandole in bene, come giá fate, saranno cagione di rendervi ai futuri secoli immortale. State sana.


NOVELLA XVIII

Ottone terzo imperadore ama Gualdrada senza esser amato ed onoratamente la marita.


Voi dicevate, valoroso signore, che gran cosa vi pare, che una fanciulla, essendo da un innamorato ed ozioso giovine tentata e con frequenti ambasciate tutto il dí molestata, possa resistere, ed io vi risposi, che veramente non direi che non fosse cosa di qualche difficultá, ma bene v’affermo che, sia chi si voglia, o uomo o donna, che non fará se non tanto quanto vuole pur che la persona si deliberi. E perciò che promisi narrarvi a questo proposito una bella istorietta, in questa nobilissima cittá ad una nostra gentildonna avvenuta, ora che occupato in cose de la guerra non sète, brevemente ve la narrerò. Devete dunque sapere che Ottone III imperadore, ritornando da Roma ove da Gregorio V, sommo pontefice, fu con solennissima pompa di corona imperiale consacrato, si fermò in questa cittá, essendo alora tutta la Toscana ubidiente a l’imperadore, il quale il governo di quella commise a Ugone marchese Brandeburgense, suo cugino, che era uomo di singular giustizia e di molta stima appo tutti i popoli. Qui ritrovandosi nel giorno di San Giovanni Battista, che è il padrone tutelare di Firenze, ed essendo ne la chiesa di esso santo a messa, ove era concorsa tutta la cittá, vide una bellissima figliuola da [p. 233 modifica]marito, il cui padre era messer Bellincione Berti dei Ravegnani. Aveva essa fanciulla il nome d’essere la piú bella, vaga e leggiadra giovanetta, non solamente di Firenze, ma di tutta Toscana, ed ovunque ella andava traeva a sé gli occhi di quanti v’erano. Come l'imperadore la vide, meravigliosamente si dilettò de la vista di lei, la quale tanto gli piacque, che mentre ch’egli stette in chiesa sempre le tenne gli occhi fisamente nel bel viso, e tra sé ora questa parte di lei ora quell’altra contemplando e tutte sommamente lodandole, a poco a poco non se ne accorgendo, dal piacer de la vista ingannato, assai piú che a la gravitá di tanta maiestá non conveniva de le infinite bellezze di quella s’accese. A lui quanto piú la mirava pareva piú bella ogni ora, e tanto piú che sempre scorgeva in lei qualche parte di bello, che prima veduta non aveva. Poi che i divini uffici con grandissima noia de l’imperadore furono finiti, ché averebbe voluto che tutto il giorno fossero durati, partí la fanciulla con le sue compagne, ed altresí l’imperadore al palazzo si ridusse, ed essendo poste le tavole si pose a mensa, ma nulla o poco mangiò, avendo tanto il pensiero a le bellezze de la veduta fanciulla rivolto, che ad altro attender non poteva. Onde sentendosi di tal sorte di lei infiammato, che il voler, non ammorzare, ma scemar le fiamme gli pareva impossibile, si ritrovò molto di mala voglia, né sapeva che farsi. Commise ad un suo fidato cameriero che spiasse di cui ella fosse figliuola, avendogli dati i contrasegni de le vestimenta ed il luogo ove in chiesa stava. Andò il diligente cameriero, e tanto investigò, che egli intese il nome del padre de la fanciulla e a l’imperadore il rapportò. Egli, informatosi de le condizioni del gentiluomo, intese quello esser molto nobile, ma povero, ed uomo di poca levatura. Il perché dopo molti e molti pensieri, non volendo a modo alcuno usar la forza, deliberò col mezzo del padre ottener l’intento suo. Se lo fece adunque un giorno chiamare in palazzo, e tutti di camera cacciati, volle che quello, ancor che assai il ricusasse di fare, appo sé si mettesse a sedere. Dopo che egli fu assiso, cosí l'imperadore, sospirando, a dire cominciò: — Io credo, messer Bellincione, che voi senza dubio [p. 234 modifica]sappiate come naturalmente tutti gli uomini sono inclinatissimi ad amare, sia questo o vertú o vizio; questa inclinazione è una infermitá che a nessuno perdona e a tutti nuoce, perciò che non è core, pure che d’uomo sia, che o tardi o per tempo a le volte non senta gli stimoli de l’amore. Se guardarete le istorie divine, trovarete Sansone il fortissimo, David il santissimo e Solomone il piú savio di tutti esser stati meravigliosamente ad amore soggetti. Se leggerete le romane, le greche e l'altre istorie, quanti ne trovarete voi che senza fine hanno amato? Cesare, che primo ci partorí l’imperio romano, a cui tutto il mondo cesse, fu di Cleopatra servo, la quale poco mancò che non facesse per amore Marco Antonio impazzire. Che fece Massinissa? Come in Puglia si diportò Annibaie? Vi potrei dir di molti altri eccellentissimi uomini, duci, regi ed imperadori, i quali a le fiamme amorose apersero il petto e l’amoroso vessillo seguitarono. Ma io porto ferma openione che il tutto a voi sia cosí chiaro come a me. Il perché, persuadendomi voi esser uomo che ne la vostra gioventú abbiate amato, non mi vergognerò discoprirvi le mie passioni e farvi noto il mio supremo disire, e poi quella aita chiedervi che al mio male qualche conforto apporti. E quando io non avessi questa credenza in voi, io mi ritrovarei di modo sconsegliato, che nel vero non saperei che piú farmi. Ma voglio e giovami credere che appo voi troverò perdono, compassione ed aita. Saperete adunque, per non tenervi piú a bada, che io assai piú che me stesso amo vostra figliuola. Sommi sforzato quanto mi è stato possibile di levarmi di petto questa passione, e il tutto è stato indarno. Onde a tal ridutto mi veggio, che senza l’amor de la figliuola vostra al mio vivere è giunto il fine. Averei potuto far de le cose che potete imaginarvi per averla, ma io bramo che il tutto si faccia segretamente. E per questo a voi sono ricorso, il quale so che volendo potete pienamente sodisfarmi. Il che facendo, sará la grandezza vostra e di lei. — Messer Bellincione, udito l'imperadore, si reputò d’aver trovata la sua ventura quando sí gran prencipe era di sua figliuola innamorato. E senza troppo pensarvi su, cosí gli rispose: — Serenissimo signor mio, state di buona voglia, ché mia figliuola [p. 235 modifica]sará sempre al comando vostro. Io anderò a parlar seco e farò di modo che in breve vi recherò buone novelle. — Restò per questa sí larga promessa l’imperadore senza fine lieto, e Bellincione, andato a casa, domandò in camera la figliuola e le disse: — Gualdrada, — ché tale era il nome de la fanciulla — io ti reco una buona novella, perciò che hai da sapere che l'imperadore è de le tue bellezze innamorato, come di bocca sua m’ha detto, e faratti, se tu seco sarai piacevole, una gran donna. Tu vedi che noi, ben che siamo gentiluomini, siamo poveri; Dio ci ha mandata la ventura nostra, sappiamola pigliare. — Non sofferse l’altiera ed onestissima giovanetta che il disonesto padre piú innanzi parlasse, ma da giusto sdegno accesa: — Dunque, — disse — volete voi farmi prima bagascia che maritata? Ché se avessi marito e voi mi parlassi di questo, non vi vorrei udire, e udirovvi essendo vergine? Tolga Iddio che mai uomo del mondo, se non colui che mi sposerá, divenga mio signore. Andate, e piú non mi parlate di questo. — Rimase il padre tutto confuso e non ardí farle piú motto. Con questa risposta molto di mala voglia se ne ritornò a l’imperadore, il quale, udendo la saggia e onestissima risposta di Gualdrada, dolente oltra modo, stette buona pezza che pareva piú tosto una statua di marmo che uomo vivo. Poi tra sé rivolgendo la magnanima deliberazione de la castissima vergine e quella senza fine commendata, disse al padre di lei: — Io ho deliberato, vincendo me stesso e le mie fiere passioni soggiogando, fare che il mondo conosca che, se so vincere gli altri, che anco so vincer me stesso. L’amore che ho portato e porterò sempre a vostra figliuola fará di questo certissima fede. — E alora chiamato a sé il fido suo cameriero, che Guido aveva nome, cosí gli disse: — Guido, vogliamo darti moglie, tale qual noi per il nostro figliuolo eleggeremmo. Tu sposarai la figliuola di messer Bellincione che qui vedi, e noi per dote sua ti daremo il Casentino e molte altre nostre castella che sono in Val d’Arno. — Mandò poi a chiamar tutti i suoi baroni e gentiluomini di corte, e messer Bellincione andò e condusse la bella ed onesta Gualdrada, e l'imperadore, a la presenza di tutti manifestato il suo amore [p. 236 modifica]e la prudente e savia risposta de la vergine, si cavò un anello di dito di grandissimo prezzo e a Guido il diede, con il quale egli alora sposò la bella Gualdrada. Fu fatto quel giorno medesimo il privilegio de la dote che Ottone aveva promessa, e sempre egli si chiamò cavaliero di Gualdrada, e come fu da Guido sposata, l’imperadore la basciò in fronte e la raccomandò a Dio, e piú non la volle vedere. Da Guido e da Gualdrada vennero due illustrissime famiglie, una dei conti Guidi e l’altra dei conti da Puppio, che tennero gran tempo la signoria che l’imperadore in Val d’Arno e in Casentino aveva data loro. Furono poi al tempo di Filippo Vesconte duca di Milano da questa nostra Republica discacciati, ed alcuni di loro si ridussero in Romagna, e da costoro sono discesi i conti da Bagno, ch’oggidí possedono in quello di Cesena molte castella.